
Che suono ha il ghiaccio? Secco, crepitante, scrosciante, clamoroso, violento, effimero. Ma per chi lo scala è soprattutto un canto. Una melodia pregna di passione e dedizione verso un elemento così affascinante e allo stesso tempo esigente. Un canto leggero che racconta la sete di esplorare e la lotta con l’effimero.
“Le chant de la glace” (Il canto del ghiaccio) è il nuovo lavoro realizzato dal filmmaker francese Thibault Cattelain. Un cortometraggio sulla storia del ghiaccio tra passato, presente e futuro.
“All’inizio degli anni 70 alcuni alpinisti si specializzarono in un nuovo sport: l’arrampicata su ghiaccio. Ispirata dalle imprese scozzesi in Ben Nevis e da alcune ascensioni americane, questa attività si sviluppò dapprima nei Pirenei. Si è poi diffusa a macchia d’olio sulle Alpi”.
A raccontare questa storia sono i suoi protagonisti, mostri sacri come Francois Damilano, Christophe Moulin e Thierry Renault, tra gli altri. Tra aneddoti mitici e piccozze Charlet Moser si ripercorre una storia grandiosa della fine del secolo scorso. Peccato solo la (tipica) autoreferenzialità francese che lascia i grandi del ghiaccio italiani un po’ in disparte: Grassi viene a malapena citato e a Ezio Marlier vengono concessi solo pochi istanti. Peraltro, emozionanti.
In un lungo racconto, Cattelain mostra l’evoluzione di questa disciplina fino ai giorni nostri e si interroga sul futuro. “L’arrampicata su ghiaccio ci spinge anche a interrogarci sul nostro posto nel mondo e sul nostro rapporto con l’ambiente. L’azione stessa, compreso l’uso delle piccozze, è un’allegoria dell’impatto dell’uomo sulla natura: violento e aggressivo, dominatore e invasivo.
Quasi cinquant’anni dopo, mentre il pianeta Terra subisce un drastico riscaldamento globale, i nostri inverni sono sempre più modificati. Gli strumenti di comunicazione aumentano l’eccessiva frequentazione delle aree naturali. Con un effetto domino, i cambiamenti multifattoriali dell’ambiente stanno amplificando i rischi associati alle nostre attività. Ora più che mai, gli scalatori di ghiaccio devono adattarsi. E cambiare”.
Immagini emozionanti si intrecciano a riflessioni profonde e naturalmente emerge anche l’urgenza ambientale. Forse che la vera sfida del domani non è andare oltre il VII grado o alzare ancora di più l’asticella delle difficoltà, ma trovare la propria ‘via’ in montagna con una sempre maggiore consapevolezza del proprio impatto.
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