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Riordinare le priorità in montagna

La conoscenza di sé stessi e dell’ambiente in cui ci si muove vengono prima materiali e tecniche. L’invito della guida alpina Michele Comi a “sperimentare”. Per gradi.

Acquisire informazioni, studiare il percorso, conoscere i materiali e le tecniche “corrette” per andare in montagna sono gli argomenti di “insegnamento” più conosciuti, oltre ad essere irrinunciabili precetti da raccontare a chi desidera avvicinarsi alle cime. Sono tutti elementi totalmente condivisibili, assodati nel nostro modo di procedere, rispettosi delle “regole”.

L’elemento principe dell’educazione che ne deriva, specialmente quando ci rivolgiamo ad un pubblico ampio, è quello di ritenerci tranquilli seguendo le istruzioni.

Animati dai migliori propositi siamo sempre portati a consigliare quello che sta fuori da noi: tecnica ed attrezzi. La risposta ad un rischio di inconveniente si riconduce perennemente a qualcosa esterno, un accessorio, uno strumento.

“Ascoltare” e “mettersi in relazione” sono parole che mai compaiono nella narrazione, anche senon andrebbero a negare il valore delle competenze e risorse enunciate, anzi. Eppure il nucleo della conoscenza in montagna, in un contesto di decisioni critiche, non appartiene a tecniche, dati e abilità, ma nel riconoscere i limiti della nostra azione in quel contesto.

Qui ed ora che succede? Quanto siamo in grado di vedere i fenomeni attorno a noi? Sono le prime domande che dovremmo porci ogni qual volta ci muoviamo in natura. Solo la percezione dell’intorno può dirci cosa vediamo, come stiamo, come possiamo procedere e, alla fine, con quali attrezzi.

Per questo, un riordino delle priorità cui prestare attenzione, può ragionevolmente iniziare dalla comprensione stretta ed immediata dell’ambiente cui ci si muove. Senza questo passaggio iniziale è impossibile prendere decisioni, comprendere i tempi necessari alla nostra avventura, adottare strategie, tecniche e impiegare i migliori strumenti disponibili.

Come possiamo dunque migliorare la nostra percezione? Ad esempio puntando ad esperienze meno dipendenti dal grado di difficoltà, mirando a percorsi ben accessibili al proprio “livello”, ma che consentano soprattutto di essere messi a fuoco completamente, così da essere affrontati con maggiore autonomia e indipendenza. Spuntare una sterminata check-list di tecniche e procedure non è sufficiente a tenere a bada la paura e a ragionare su come poter vivere bene entro un contesto verticale, soprattutto quando spingiamo unicamente sul superamento della difficoltà.

Per questo la “guida” che facilita, sorveglia e conforta, sceglie con misura il miglior contesto, ma lascia spazio all’incontro autonomo con l’incerto, con la sorpresa, può amplificare il processo di messa a fuoco e di conoscenza.

Abbassare la “prestazione” non è da intendersi come una regressione, ma un invito a sperimentare, attivare la scoperta di sé e dell’ambiente, con una scelta di obiettivi solo in apparenza più facili, che ci danno l’opportunità di vivere meglio quel contesto, tollerare e comprendere i rischi insiti in ogni attività condotta negli ambienti naturali e persino scalare con migliore efficacia e con meno fatica.

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