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Sulle Alpi fa sempre più caldo. E gli stambecchi diventano animali notturni

Uno studio delle Università di Ferrara e Sassari dimostra che, per sfuggire al caldo, gli animali pascolano e si spostano di notte. Esponendosi al rischio di essere attaccati dal lupo

Gli escursionisti e gli alpinisti che frequentano le Alpi, su decine di massicci tra il Piemonte e la Francia da un lato, e il Friuli e la Slovenia dall’altro, sono abituati a vedere gli stambecchi al pascolo soprattutto nelle prime ore del mattino e al tramonto. Di giorno, questi eleganti ungulati riposano in anfratti e in ripari sottoroccia, che nelle Alpi occidentali vengono spesso indicati come “barme”.

Questo ritmo di vita tradizionale sta cambiando. Lo dimostra un recente studio dell’Università di Ferrara, realizzato con il contributo dell’Università di Sassari, del Parco Nazionale Gran Paradiso e del Parco Nazionale Svizzero.

Secondo i risultati, pubblicati il 17 gennaio sulla rivista scientifica inglese “Proceedings of the Royal Society B”, dedicata alle scienze biologiche, il riscaldamento globale sta cambiando le abitudini degli stambecchi delle Alpi, che per evitare il caldo sono sempre più attivi di notte nonostante l’aumento del rischio di essere predati dai lupi. Questo impone alle aree protette di rivedere le attività di gestione della fauna e di affrontare in maniera diversa i potenziali elementi di disturbo come turisti ed escursionisti.

Lo studio, supervisionato dal professor Stefano Grignolio, del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie dell’ateneo ferrarese, e firmato anche da Francesca Brivio, Marco Apollonio, Pia Anderwald, Flurin Filli, Bruno Bassano e Cristiano Bertolucci, può essere consultato al link https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rspb.2023.1587.

I ricercatori, tra il 2006 e il 2019, hanno seguito 47 stambecchi, maschi e femmine, al Gran Paradiso e nel Parco Nazionale Svizzero, a quote comprese tra i 1500 e i 3300 metri. Le giornate di lavoro degli zoologi sono state 11.255, i “rapporti di attività” relativi a singoli esemplari ben 3.703.248. Alcuni degli stambecchi, dopo essere stati catturati e sedati, sono stati dotati di radiocollari di ultima generazione.

All’inizio del lavoro appena pubblicato si ricorda che “circa l’83%” degli ambienti terrestri mostra segni palesi del cambiamento climatico”, e che “l’aumento della presenza umana ha ridotto le possibilità di migrazione per la fauna, e ha spinto varie specie a modificare i ritmi e gli orari della loro attività”.

La ricerca delle Università di Ferrara e Sassari ha dimostrato che l’aumento dell’attività notturna degli stambecchi in relazione alla temperatura è simile nei maschi e nelle femmine, anche se queste ultime pesano circa la metà dei maschi, hanno corna decisamente più piccole, e vanno quindi incontro a un maggiore rischio di predazione.

Il comportamento degli stambecchi dimostra che il loro bisogno di vivere in condizioni ideali da un punto di vista termico è più importante del rischio di essere predati. Questo lascia ipotizzare che a lungo termine il cambiamento climatico potrebbe essere pericoloso anche per altre specie di animali diurni poco adatti a vivere alle temperature più elevate.

«Le conseguenze ultime di questi cambi nel comportamento delle specie diurne non ci sono ancora evidenti. Dovremo capire se potranno mettere a rischio la conservazione di queste specie», sottolinea il professor Grignolio. Intanto, però, dallo studio emergono due messaggi-chiave.

Prima di tutto, se gli animali cambiano i momenti del giorno e della notte in cui sono attivi, sarà necessario rivedere le attività di gestione della fauna, per esempio i censimenti, perché durante le ore di luce si farà più fatica a trovare e contare gli animali.

In secondo luogo, sarà fondamentale ridurre le altre sorgenti di stress che potrebbero forzare ulteriormente gli animali a essere meno attivi di giorno, per esempio riducendo la presenza di escursionisti o evitando il sorvolo da parte di elicotteri.

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