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Francesco Saladini al CAI: “Il caso K2 va riaperto”

Cosa è successo tra il 29 e il 31 luglio, 1954 ai piedi della seconda cima della Terra? Saladini, avvocato e alpinista marchigiano, chiede al Club Alpino di affrontare ancora una volta la questione

L’anniversario della vittoria italiana sul K2 nel 1954 non sarà fatto solo di celebrazioni e brindisi. Ce lo ricorda Francesco Saladini, alpinista e avvocato di Ascoli Piceno, che è già intervenuto sul tema con un libro (“K2. La storia continua”) e con un’intervista a Fernanda Mossini, sorella della seconda moglie di Achille Compagnoni. In entrambi i casi, Saladini ha difeso l’operato dei due alpinisti che hanno raggiunto la cima.

Da qualche giorno l’alpinista e avvocato di Ascoli Piceno, che ha all’attivo molte ascensioni sulle Alpi e diverse vie nuove sui Monti Sibillini e sul Gran Sasso, è tornato sull’argomento con una lettera aperta al Presidente Generale e al Consiglio Centrale del Club Alpino Italiano. Chiede di “annullare la condanna di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli” deliberata dallo stesso Consiglio nel 2004, poco prima delle celebrazioni per i 50 anni della prima ascensione.

La questione, che vale la pena di ricordare, riguarda quel che è accaduto sul K2 il 29 e il 30 luglio del 1954, poco prima della vittoriosa ascensione di Compagnoni e Lacedelli, che sono arrivati sugli 8611 metri della vetta nel tardo pomeriggio del 31.

Il 30 luglio, Walter Bonatti e il portatore Hunza Amir Mahdi sono saliti per portare alla cordata di punta le bombole d’ossigeno necessarie per il tentativo alla vetta, non hanno né trovato né raggiunto l’ultimo campo e hanno dovuto affrontare un terribile bivacco a 8000 metri di quota. Bonatti se l’è cavata senza danni, Mahdi ha subito gravi congelamenti, seguiti da amputazioni. Un sacrificio poco o nulla riconosciuto, secondo Walter Bonatti, dal libro e dal film ufficiali della spedizione.

Per molti anni, il grande alpinista lombardo ha pubblicato libri e memoriali sull’argomento. Finalmente, nel 2008, il CAI ha accolto l’opinione della commissione dei “Tre Saggi” (Alberto Monticone, Fosco Maraini, Luigi Zanzi), e ha fatto propria la sua versione. Lino Lacedelli ha chiesto pubblicamente scusa a Bonatti, Compagnoni si è chiuso in un orgoglioso silenzio.

Francesco Saladini, invece, si schiera con i due uomini della vetta, e chiede al CAI di rivalutarne l’operato. Il primo punto in discussione è l’accusa di Bonatti ai due della cordata di punta, poi ripresa dai “Tre Saggi” e dal CAI, di aver “violato” il piano di attacco deciso il 29 luglio 1954, piantando l’ultimo campo più in alto di quanto era stato deciso.

La versione di Walter Bonatti che nel detto piano si fosse deciso di porre il nono campoil più in basso possibile, è stata da lui esposta solo nel 1961, ben sette anni dopo i fatti, e non è confermata da nessun altro” scrive Saladini, con piglio da uomo di legge.

La versione di Lacedelli proposta nel libroK2, il prezzo della conquistadel 2004, ben mezzo secolo dopo i fatti, che si fosse deciso di porre quel campo “in un punto stabilito” peraltro da lui non precisato, è indiscutibilmente smentita dal fatto che durante tutta la salta del 30 luglio egli non propose mai a Compagnoni di fermarsi, per porre il nono campo, in quell’ipotetico punto” continua l’alpinista e avvocato di Ascoli Piceno.

La versione di Compagnoni, sottoscritta allora anche da Lacedelli, che si fosse deciso di porre il nono campo “il più in alto possibile”, è stata invece proposta immediatamente dopo la spedizione e risulta confermata alla lettera nel diario di Pino Gallotti, quarto uomo del piano e suo unico testimone imparziale, che non la cambiò quando Bonatti nel 2002 gli chiese di farlo”.

Su questo punto, Francesco Saladini non ha dubbi. “Le due versioni di Bonatti e Lacedelli proposte anni o decenni dopo la spedizione, non coerenti tra loro e la seconda palesemente inattendibile, restano minoritarie o al più pareggiano quella concorde di Compagnoni e Gallotti” scrive nella lettera inviata al presidente Montani e al Consiglio Centrale del CAI.

Al punto successivo, Saladini attacca Maraini, Zanzi e Monticone. “Violando l’incarico del CAI d’accertare la “verità storica”, i Tre Saggi non svolsero ricerche né indagini, non sentirono gli elaboratori del piano, non lessero i loro diari e addirittura non permisero agli accusati di discolparsi. In questo quadro è evidentemente ingiusta l’infamia addossata dal CAI nel 2004-2007 ai due uomini della cordata di punta”.

Fatti recenti, come la messa in onda a fine novembre 2023 del documentario “K2 montagna selvaggia“, smentiscono chi ritiene non più interessanti le vicende del 1954 e, nascondendosi dietro questo alibi, ribadisce quell’infamia” continua, durissimo, Saladini.

Basterebbe un minimo d’onestà intellettuale, di coraggio e di buona volontà, oltre che di rispetto per la memoria di chi ha dato all’Italia il suo unico “ottomila”, per riconoscere che vi fu un malinteso nell’elaborazione del piano del 29 luglio” prosegue Saladini

Compagnoni e Bonatti furono ugualmente in buona fede nel sostenere fino alla morte le loro opposte versioni, cancellare la condanna del primo non toglierebbe nulla alla grandezza del secondo. Chiedo ancora, come già fatto invano, d’essere ascoltato per illustrare e discutere le mie ragioni” è la conclusione della lettera.
Accetteranno i dirigenti del CAI di confrontarsi con Francesco Saladini sul K2? Nelle prossime settimane lo sapremo.

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