Attrae fondisti, freerider, patiti di hockey su ghiaccio, scialpinisti e amanti dello sci da discesa. Il comprensorio di Davos Klosters, nel Canton Grigioni in Svizzera, non ha bisogno di presentazioni: è una mecca per gli sportivi. A quota 1560 metri, la città alpina di Davos, con oltre 12 mila abitanti, nasce dall’unione dei due borghi di Davos Dorf, la parte più antica, e Davos Platz, con i quartieri più moderni.
Difficile immaginare oggi che a metà Ottocento questo era un paesino sperduto di contadini che a fatica strappavano dalla terra di che vivere, insieme alle loro mucche. Un luogo dove l’esistenza era dura fin dai tempi dei primi abitanti retoromanci, di cui si ha notizia nel XII secolo, ai quali si unirono dei vallesani di lingua tedesca a caccia di fortuna. Oltre alle magnifiche montagne, il bello di Davos è proprio la sua storia. La sua camaleontica capacità di cambiare pelle, di reinventarsi per rimanere sulla cresta dell’onda, che la rende per certi versi unica nel panorama alpino.
La prima vita di Davos è quella di un paesino di montagna di allevatori e contadini, rimasti per quasi due secoli sotto il dominio austriaco e poi tornati alla Svizzera nel 1649. Con la seconda metà dell’Ottocento e la passione inglese per le Alpi, Davos aveva le carte in regola per diventare una meta sportiva invernale. Ma accade qualcosa di straordinario che cambia il suo destino. Galeotta è la rivoluzione tedesca del 1848-49, che vede sulle barricate uno studente ventenne: Alexander Spengler. La repressione tarpa le ali al ragazzo, che è costretto a scappare per non finire in galera. La Svizzera lo accoglie come rifugiato politico e lui mette la testa a posto, iscrivendosi a Medicina a Zurigo.
Dopo la laurea diventa medico a Davos, che all’inizio non lo entusiasma: gli mancavano i teatri e la vita mondana della città. Da medico, era interessato alla tubercolosi (TBC), autentica piaga all’epoca. E aveva notato un fenomeno curioso. «I nativi di Davos che erano emigrati in gioventù e che avevano contratto la tubercolosi in ragione delle cattive condizioni di vita in pianura, si ristabilivano rapidamente una volta ritornati al paese», scrive Davide Del Curto, autore del saggio Il sanatorio alpino. Il dottore intuisce che è l’aria di Davos a curare la malattia. I suoi due primi clienti, due tisici tedeschi che giungono nel 1865, migliorano rapidamente, diventando dei testimonial preziosi. Nel giro di un decennio, Davos si riempie di pensioncine e hotel per le cure, con ospiti che giungono da ogni angolo d’Europa. Spengler raccomanda riposo, passeggiate all’aria aperta e un’alimentazione ricca di carne, grassi, latte. Il villaggio contadino della Landwassertal diventa una cittadina glamour, con edifici Belle Epoque, lampioni elettrici (ancora una rarità in montagna) e un tram trainato da cavalli. Cinema e concerti rallegrano il soggiorno degli ospiti.
Non tutta la categoria medica è entusiasta delle idee di Spengler. Molti luminari pensano che l’aria fredda – si stava all’aperto anche d’inverno per la cura – fosse nemica dei polmoni. E che fosse preferibile curare la tisi in riva al Mediterraneo. Ma il successo di Davos non sembra destinato a offuscarsi, i pernottamenti sono in continua crescita. La cura è lunga e molto costosa, e l’ex studente rivoluzionario Spengler fonda anche un sanatorio per malati poveri.
Se il dottore è l’artefice del lancio di Davos, a renderla per sempre immortale serve uno scrittore. Thomas Mann visita Davos nel 1912, in occasione di un soggiorno per tubercolosi della moglie. È una folgorazione: incomincia subito a lavorare al progetto di un romanzo grandioso, La montagna incantata, per immortalare il mondo dei malati di TBC e la loro esistenza dorata nella casa di cura Berghof. Il libro, pubblicato nel 1924, contribuirà all’assegnazione del Nobel per la Letteratura al suo autore ed è denso di chiavi di lettura. Per Davos è una consacrazione.
La ricerca medica, però, sta procedendo a grandi passi. Nel 1943 la streptomicina diventa il primo antibiotico adatto a combattere la tubercolosi. Per Davos non è una buona notizia. La cura di Spengler diventa inutile e i pazienti negli anni Cinquanta scarseggiano. Molte case di cura, caratterizzate da un’architettura spettacolare e grandi dimensioni, si convertono in hotel. Questo passaggio tocca anche al celebre Schatzalp, la struttura che ha ispirato Thomas Mann e che accoglie tuttora i turisti.
È la seconda vita di Davos. La notorietà come luogo terapeutico da decenni aveva già portato il turismo. Le montagne e la conformazione della vallata erano perfette non solo per le passeggiate estive, ma anche per gli sport invernali. Nel 1921 viene fondato l’Hockey Club di Davos e due anni dopo, Carl Spengler, uno dei figli del medico, lancia una competizione che vede come premio la Spengler Cup e che esiste tuttora. Ma anche per lo sci viene istituita una gara cult: la leggendaria discesa del Parsenn, disputata per la prima volta nel 1924 su iniziativa dello Ski Club di Davos e del Davos English Ski Club. Il curling era già di casa dal 1872, con i primi ospiti. Il Jakobshorn, oggi adorato dagli snowboarder, vanta il primo skilift a T installato a Bolgen nel 1934. Il richiamo degli sport invernali e dei paesaggi, unitamente all’offerta di concerti, musei ed eventi sviluppatasi grazie ai malati, ha facilitato il rilancio di Davos come meta turistica. Soprattutto nei primi tempi, molti ex tisici sono tornati con piacere negli hotel come turisti.
La terza vita di Davos, che ha saputo svilupparsi in parallelo al turismo, è legata al World Economic Forum, che dal 1971 si tiene in questa località montana presso un avveniristico Centro Congressi e che ogni anno riunisce esponenti di primo piano della politica e dell’economia di tutto il mondo. In questi tempi di cambiamento climatico, l’unica pecca è il viavai di jet privati durante il Forum: secondo Greenpeace, nell’edizione 2022 in una settimana le emissioni dei velivoli privati sono state pari a quelle di 350 mila automobili nello stesso periodo. «Le persone più ricche e potenti del pianeta si ritrovano a Davos per discutere a porte chiuse di questioni cruciali come la crisi climatica e le disuguaglianze, ma ci vanno usando la forma di trasporto più iniqua e inquinante: i jet privati», ha dichiarato Federico Spadini di Greenpeace.
Il Centro Congressi è un punto di riferimento anche per altri meeting, legati al mondo della medicina. Un fiore all’occhiello di una Davos che guarda sempre al futuro è anche la presenza della sede dell’Istituto Federale per lo studio della neve e delle valanghe, quanto mai strategico per comprendere i cambiamenti in corso.