Turismo

A Falcade i Santi stanno alla finestra

Oltre 80 affreschi del XVII e il XIX secolo colorano le case della Val Biois e danno vita a un originale percorso di visita. Perfetto dopo ogni escursione sulla neve

Falcade è un luogo sorprendente. Basterebbe la montagna a lasciare il visitatore senza fiato: a quota 1100, intorno a questo borgo dell’Agordino di circa 1800 anime si stagliano cime dolomitiche strepitose, come il Monte Civetta (3220 m), le Pale di San Martino, il gruppo del Focobon. Al prodigio della natura qui si affianca quello umano. Falcade, insieme a Canale d’Agordo – paese natale di Papa Luciani – e a Vallada Agordina, vanta un’ottantina di affreschi realizzati fra il Seicento e l’Ottocento sulle pareti esterne delle case. Tutti di soggetto religioso, a testimonianza della forza della fede.

Per secoli, da queste terre gli uomini sono emigrati in cerca di lavoro come muratori e manovali, lasciando la gestione della famiglia e della casa alle mogli. In un contesto del genere, questi affreschi rappresentano un mistero. Come potevano queste popolazioni, che vivevano in povertà strappando a fatica dalla terra di montagna patate, frumento e segale, permettersi di farsi affrescare l’abitazione? Abbiamo rivolto questa domanda a Dunio Piccolin, 53 anni, pittore e artista di Falcade, che ama le tradizioni della sua terra e ogni tanto guida i turisti alla scoperta degli affreschi ma anche della storia locale. Nei suoi murales, Dunio ritrae la vita della Falcade di una volta, le donne con la gerla in spalla e i contadini, le chiese e le montagne. Quella sinfonia collettiva che traspare dalle sue opere è anche nelle sue parole, che conducono in un mondo che non c’è più.

Opere di pittori di passaggio che in questo modo pagavano l’ospitalità

«Gli affreschi avevano lo scopo di proteggere gli abitanti da malattie e pestilenze», racconta. «Spesso nei dipinti ci sono la Madonna con il Bambino al centro, affiancati da santi. Uno dei più rappresentati è Sant’Antonio da Padova, festeggiato il 13 giugno, che era il protettore degli orfani, delle donne incinte e dei bimbi malati. È presente anche San Giovanni Battista, patrono di Canale mentre il patrono di Falcade, San Sebastiano, era un soggetto più difficile. Il suo martirio, con il corpo trafitto dalle frecce, richiedeva una buona conoscenza dell’anatomia umana».

La maggior parte degli affreschi non sono opera di grandi maestri: non c’è un Tiziano, o un Lorenzo Lotto. «Gli autori sono per lo più anonimi», continua Piccolin. «Erano pittori di passaggio. Il passo del San Pellegrino, che univa la Valle del Biois, dove si trova Falcade, a Moena in Trentino, fin dal Medioevo si trovava su una via di transito fra il Veneto e la Germania. Dal 1358, era attivo un ospizio. Si ritiene che gli artisti diretti al passo si fermassero a Falcade, dove in cambio di vitto e alloggio offrivano un affresco».

La vita in montagna a quei tempi non era uno scherzo. La piana di Falcade, dove oggi d’inverno ci si diverte a pattinare su ghiaccio e a praticare lo sci nordico, e il paesino con le sue graziose frazioni, erano luoghi dove ci si sfamava a polenta e minestra di verdure. «I ricchi erano coloro che possedevano un cavallo, che tornava utile nei trasporti. Gli altri avevano una mucca, o un maiale che tenevano in uno sgabuzzino del fienile. Era una fortuna se gli uomini emigrati, quando rientravano d’inverno a Natale, portavano uno stoccafisso».

L’alimentazione era povera e  le malattie potevano facilmente decimare la popolazione. Come accadde nel 1790, per esempio: un’epidemia di sifilide, giunta da chissà dove, imperversò per 46 anni, uccidendo e impoverendo le famiglie. La devozione alla Madonna e ai santi era fondamentale per avere la loro protezione. Le chiese della Valle del Biois sono un’ulteriore testimonianza della forte religiosità di questa terra, patria di vari prelati importanti e di artisti.

«Gli affreschi erano realizzati su malta fine di calce e di sabbia. Si dipingeva prima che si asciugasse: una volta seccata, non c’era più pericolo che l’affresco si staccasse». Se la massa degli artisti resta ignota, qualche nome noto c’è. «A Vallada Agordina c’è il ciclo di affreschi di San Simon, realizzati nel Cinquecento da Paris Bordone, pittore nato a Treviso e allievo di Tiziano. È la realizzazione più preziosa. Gli artisti degli affreschi di solito mettevano la data, quasi mai la firma. Solo facendo dei raffronti e studiando lo stile è possibile ipotizzare la mano dello stesso autore in più opere. Un esempio? Antonio Costa, pittore ottocentesco, che fece vari affreschi a Falcade. Nella frazione di Col de Rif, c’è un bel dipinto che raffigura vari santi, il mio preferito».

Oltre agli affreschi sulle case, gli artisti hanno realizzato i “capitelli”, piccole chiesette dipinte all’esterno delle abitazioni: erano collocate ai crocevia delle strade, o alla fine dell’abitato, dove la loro presenza era di buon auspicio per i contadini che andavano nei campi per la fienagione.

La vena artistica si è perpetuata nel tempo

Il legame della Valle del Biois con l’arte non si esaurisce nell’Ottocento, quando si smette di dipingere gli affreschi sulle case. A Piè Falcade è nato lo scultore Augusto Murer (1922-1985), a cui è dedicato il Museo Murer. Suo compaesano è stato lo scultore Dante Moro (1933-2009), mentre il pittore Giuliano De Rocco (1934) è di Canale d’Agordo. Ha seguito le orme del padre l’artista Franco Murer (1952), figlio di Augusto. Oggi sono i turisti – spesso proprietari di case di vacanza – a voler scoprire gli artisti locali e la tradizione degli affreschi.

È un patrimonio da tutelare e valorizzare: Dunio Piccolin ne è più che convinto. «La Valle del Biois è nota anche come la valle coi santi alle finestre”. Era il titolo di un racconto scritto nel 1958 da Enzo Demattè, scrittore nato a Trento e trevigiano d’adozione. In quegli anni a Falcade il turismo era in crescita, e la gente stava iniziando a ristrutturare le case per accogliere gli ospiti, a volte distruggendo un affresco per aprire una nuova finestra o rifare la facciata. Demattè invitò i valligiani a conservarli, perché erano davvero unici».

Per fortuna, molti affreschi sono sopravvissuti, forse anche per la paura di inimicarsi qualche santo.
E oggi, chi viene a sciare a Falcade e a godersi il paesaggio dolomitico, ha la possibilità di scoprire un tesoro, che racconta una storia di devozione ma anche di amore per l’arte religiosa e votiva, che rende straordinari i borghi della Valle del Biois.

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