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Anatomia di una caduta, anche in Italia il film Palma d’oro a Cannes

Nelle sale dal 26 ottobre, il film di Justine Triet ambientato sulle montagne della Maurienne ha subito conquistato il pubblico. Anche per le splendide location che fanno da cornice a una intricata vicenda umana e giudiziaria

In una baita isolata della Maurienne dove il bianco della neve e del ghiaccio illumina un paesaggio assopito, la romanziera tedesca Sandra (Sandra Hüller) viene intervistata da una studentessa che ne ammira il lavoro.

Sandra è magnetica, misteriosa, affascinante. Evade le domande. Quando all’improvviso dalla mansarda viene sparata a tutto volume una canzone (la cover di “P.I.M.P” di 50 Cent di Bacao Rhythm and Steel Band), parlare diventa impossibile. “È mio marito, sta lavorando”, dice Sandra tentando di giustificare la situazione imbarazzate.

La musica echeggia nella valle dalla finestra aperta. La studentessa se ne va. Poco dopo, quando il figlio undicenne Daniel (Milo Machado Graner), non vedente, torna a casa da una passeggiata nel bosco, il suo cane guida sonda qualcosa nel terreno. All’improvviso, quella musica allegra diventa il commento grottesco al corpo privo di vita del marito, caduto dalla finestra, riverso col cranio spaccato in una pozza di sangue. Così inizia Anatomia di una caduta. Si tratta di un suicidio o di un omicidio?

Odio e desiderio in Anatomie d’une chute

Palma d’oro al 76esimo Festival di Cannes, Anatomia di una caduta di Justine Triet comincia così la sua investigazione ambigua e affascinante dentro gli anfratti più reconditi e le contraddizioni di Sandra. Inquadrata fin da subito dalla polizia come sospettata numero uno dell’omicidio del marito, Sandra dovrà affrontare un lungo processo: non solo – e non tanto – davanti all’opinione pubblica quanto davanti al figlio, confuso quanto lo spettatore sulla sincerità delle parole di questa donna.

In questo procedural pungente, accattivante e pieno di zone d’ombra (proprio come il personaggio di Sandra) Justine Triet gioca con le aspettative dello spettatore, mettendolo sempre nella posizione sia di dubitare che di essere dalla parte della protagonista. Niente in Anatomie d’une chute è assertivo, o cristallino; non esiste un’unica verità – se non quella giudiziaria – che possa spiegare la complessità di una persona e soprattutto di una relazione amorosa.

Quella tra Sandra e il marito è infatti una storia d’amore (che scopriamo a posteriori, tramite i racconti di Sandra in tribunale e flashback), fatta sì di conflitti ma anche di amore, di odio e di desiderio. Al centro, a unire e dividere i due coniugi, l’idea di soddisfazione personale e i suoi limiti nella misura in cui si sceglie di condividere la vita e le responsabilità quotidiane con qualcuno. Tra queste responsabilità c’è proprio Daniel, il figlio non vedente, la cui storia sarà ulteriore motivo per leggere sensi di colpa e vecchie ferite alla luce del nuovo caso.

La montagna: nido e condanna

Silenziosa e incombente, l’altra protagonista di Anatomie d’une Chute è però proprio la montagna. Per Sandra, infatti, che sappiamo da giovane aver vissuto nella metropoli di Londra, vivere tra i boschi e i soliti sguardi paesani è una vera e propria condanna. La sua idea di montagna, vissuta dalla protagonista come un isolamento forzato nella natura, è diametralmente opposto a quello del marito che, originario proprio di quella valle, aveva deciso di trasferire tutta la famiglia tre le calorose cime della sua infanzia, deciso a rendere la loro baita – ancora in costruzione al momento della sua morte – un nido familiare e un luogo d’ispirazione per scrivere.

La regista e sceneggiatrice Justine Triet non era nuova al Festival di Cannes. Passata per la prima volta sui prestigiosi schermi della manifestazione con La Bataille de Solférino nel 2013 (sezione ACID; il film è stato candidato ai Premi César 2014 nella categoria miglior opera prima), il suo Tutti gli uomini di Victoria (2016) è stato selezionato nel 2019 come film d’apertura della Settimana internazionale della critica. Il passaggio al concorso ufficiale è arrivato però alla 72esima edizione del Festival con Sibyl – Labirinti di donna (2019), dove il rapporto tra scrittura, fascinazione e ambiguità dell’individuo sembra prepararci alle tematiche che ritroveremo proprio in Anatomie d’une chute.

Le riprese di Anatomia di una caduta sono avvenute tra marzo e aprile 2022 nella regione francese dell’Alvernia-Rodano-Alpi. Il film è stato girato in Savoia principalmente a Villarembert (set dello chalet) poco distante dalla stazione sciistica di Le Corbier, ma anche a Fontcouverte-la-Toussuire, Saint-Jean-de-Maurienne, Saint-Léger e, nel dipartimento dell’Isère, a  Montbonnot-Saint-Martin e Grenoble. Si tratta di luoghi e paesaggi che abbiamo visto – in una dimensione più paesana – al cinema, lo scorso inverno, in un altro bellissimo thriller francese: La notte del 12 di Dominik Moll.

La regione Alvernia-Rodano-Alpi, come avviene in Italia attraverso le Film Commission regionali, ha infatti deciso di investire nel cinema per promuovere i suoi paesaggi e la sua cultura. Una pratica comune all’intero cinema europeo che, sovvenzionato da politiche mirate e comunitarie, pone come valore aggiunto alla produzione la valorizzazione dei patrimoni ambientali e culturali locali.

Anatomia di una caduta è distribuito in Italia da Teodora.

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