Itinerari

Pizzoli, la Biblioteca e il Sentiero Ginzburg

Nell’estate del 1941, una famiglia di antifascisti torinesi, confinata in un borgo d’Abruzzo, vive qualche giorno che somiglia a una vacanza. Dal giugno del 1940 Leone Ginzburg, ebreo di origine russa, traduttore e critico letterario, militante di Giustizia e Libertà, è relegato a Pizzoli, a venti chilometri dall’Aquila sulla via che conduce verso Amatrice e la Salaria.

Qualche mese più tardi, prima dell’inverno che paralizza la poca vita sociale del borgo, lo ha raggiunto la moglie Natalia, insieme ai due figli piccoli, Carlo e Andrea. Poi, nella primavera del 1941, la Prefettura dell’Aquila autorizza i genitori di lei, Giuseppe Levi e Lidia Tanzi, a visitare per qualche giorno la famiglia. Sono giorni sereni, forse addirittura felici.

“Immagino Carlo e Andrea passeggiare su con i nonni sui sentieri di montagna a osservare insetti e farfalle, e il nonno, come sempre dotato di grande energia, indicare in alto sul cammino la montagna che dovranno scalare quando diventeranno grandi” scrive Florence Mauro, scrittrice e regista italo-francese, nella biografia Vita di Leone Ginzburg. Intransigenza e passione civile.

Leone, nato nel 1909 a Odessa, nell’odierna Ucraina, e vissuto per gran parte della sua vita a Torino, ha conosciuto le galere fasciste tra il 1934 e il 1936. Viene nuovamente arrestato e inviato al confino in Abruzzo nel giugno del 1940, ventiquattr’ore dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini alla Gran Bretagna e alla Francia, e il celebre discorso dal balcone di Palazzo Venezia.

Nei tre anni che trascorre a Pizzoli, Leone Ginzburg lavora per l’editore Einaudi, traduce testi dal francese e dal russo, può scrivere e ricevere lettere a proposito di capolavori come Guerra e Pace di Lev Tolstoj e L’idiota di Fëdor Dostoevskij. Lavori che gli procurano un reddito, anche se modesto. Natalia, durante il confino, scrive La strada che va in città, il suo primo romanzo, che esce nel 1942 con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte. Nel 1943, all’Aquila, mette al mondo la terza figlia, Alessandra.

Non è facile, per chi arriva da una grande città come Torino, inserirsi nella vita di Pizzoli. Non è facile, in quegli anni, vivere in Italia per chi è stato bollato come ebreo dalla infame legge “sulla difesa della razza italiana” approvata nel novembre 1938, ed è perseguitato dato al Tribunale speciale per la sua attività antifascista.

“Le lascio immaginare il senso di malinconia e di rabbia che mi dà il continuare a essere considerato straniero nel mio paese” scriverà Leone Ginzburg a Benedetto Croce il 1° agosto 1943, prima di essere liberato. Poi Leone torna a Roma, si impegna nella Resistenza, viene catturato e torturato nel carcere di Regina Coeli, muore a causa delle percosse il 5 febbraio 1944.

Da molti anni, il ricordo della vita dei Ginzburg a Pizzoli è affidato a uno scritto di Natalia. “Quando la prima neve cominciava a cadere, una lenta tristezza s’impadroniva di noi. Era un esilio il nostro: la nostra città era lontana, e lontani erano i libri, gli amici, le vicende varie e mutevoli di una vera esistenza” racconta in Inverno in Abruzzo, pubblicato nel 1962 da Einaudi nella raccolta Le piccole virtù.

“Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita, e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so” conclude.

Pizzoli, fin dal dopoguerra, ha ricordato i suoi ospiti di ottanta e più anni fa. “Il tempo passa, e i nostri compaesani che hanno conosciuto i Ginzburg non sono più tra noi” spiega il sindaco Gianni Anastasio. “Tra loro va citato Vittorio Giorgi, il “muratore di Pizzoli” delle opere di Natalia, che è stato operaio edile, sindacalista e poi parlamentare”.

Nel 1979 Natalia è tornata a Pizzoli, e la Einaudi ha donato un po’ di libri al Comune. Nel 2007, sedici anni dopo la scomparsa della madre, i figli di Leone e Natalia hanno donato al borgo abruzzese circa 3000 volumi che le erano appartenuti. Accanto ai libri è un bel ritratto di Natalia della pittrice aquilana Sara Chiaranzelli.Oggi la Biblioteca Comunale è dedicata ai Ginzburg. Una parte dei libri possono essere già consultati, altri sono in corso di catalogazione” spiega Milena Ranieri, assessore alla Cultura.

Nella Pizzoli di oggi, oltre alla Biblioteca, pochi elementi ricordano gli anni di Natalia e di Leone. Davanti al Municipio, dal 2021, una targa ricorda “Natalia Ginzburg alias Alessandra Tornimparte, scrittrice, drammaturga, politica”. Il terremoto dell’Aquila del 2009 ha reso inagibile la casa che ha ospitato dal 1940 la famiglia. Non si può vedere, purtroppo, la stanza sul cui soffitto è dipinta un’aquila e che accoglieva la vita dei Ginzburg. “L’esilio era l’aquila, era la stufa verde che ronzava, era la vasta e silenziosa campagna e l’immobile neve” racconta Inverno in Abruzzo.

Un altro ricordo, forse il più bello, di Natalia e di Leone sta nascendo tra i boschi e le ripide erosioni di roccia chiara che sorvegliano l’abitato di Pizzoli, e le torrette del castello Dragonetti De Torres. Sono i luoghi, come ci ha raccontato Florence Mauro, dove il nonno Giuseppe indicava ai nipoti Carlo e Andrea “la montagna che dovranno scalare quando diventeranno grandi”.

“Segnare i sentieri della Montagna di Pizzoli ci ha richiesto degli anni, nell’ultimo periodo ci siamo concentrati sul rifugio Martinelli. Il lavoro sul Sentiero Ginzburg è in corso, per ora i cartelli ci sono, ma manca una parte dei segnavia” spiega Rita Ceci, che coordina gli interventi dell’Associazione Orione e della Sottosezione CAI della Valle dell’Aterno, che possono essere contattate attraverso le loro pagine Facebook.

Una passeggiata segnata, dalla Piazza del Municipio di Pizzoli, sale alla Fonte Trio, al castello Dragonetti De Torres e ai ruderi della chiesetta della Croce, di cui è previsto il restauro. La segnaletica è quella del Sentiero Enrico Giorgi, tra salita e discesa basta meno di un’ora.

Il Sentiero Ginzburg, dal castello, tocca la chiesetta, taglia una ripida pineta, poi supera delle facili rocce attrezzate con catene metalliche. Si scavalca un crinale si traversa una strada sterrata, si toccano alcune casette agricole e si raggiunge un’altra zona di erosioni. Una salita più comoda, in un magnifico bosco, porta a un crinale a 1150 metri di quota, che sorveglia l’abitato di Barete. Si torna per la stessa via alla strada sterrata, poi si piega a destra e si torna al paese, in tutto occorrono tre ore e mezza. Chi vuole percorrere il Sentiero Ginzburg senza difficoltà deve salire per via Colle Rosso, a sinistra del Municipio, e seguire la segnaletica verso la strada sterrata e poi il Sentiero. In questo modo si evitano i passaggi attrezzati, e il tempo scende a due ore e mezza.

Il Sentiero dei Tre Rifugi, il più frequentato della zona, sale con tratti ripidi al rifugio Chicchiricchì e poi al rifugio dedicato a Federico Martinelli, in vista dei Monti della Laga e del Monte Corvo. Si traversa un altopiano di pascoli, si tocca il rifugio Santa Pupa, poi una discesa in una forra rocciosa porta al paese di Barete, da cui si torna al punto di partenza. E’ una vera escursione, con 750 metri di dislivello, e che richiede circa quattro ore di cammino. Le rocce intorno al rifugio Martinelli, che da Pizzoli sembrano toccare il cielo, sono “la montagna che dovranno scalare quando diventeranno grandi”, che nonno Giuseppe additava ai piccoli Ginzburg

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