Meridiani Montagne

La cima più dura

Testo di Paolo Paci, tratto dal numero di Meridiani Montagne “Jungfrau e Oberland Bernese”

Se c’è un Orco, da qualche parte dev’esserci una Vergine, così come una Bestia si accompagna sempre a una Bella. Nell’Oberland Bernese la regola si applica all’Eiger e allo Jungfrau, separati dal Mönch. I nomi delle tre cime a picco sui pascoli di Grindelwald fanno pensare a qualche storia medievale, ma l’unica leggenda che le riguarda appartiene già all’era turistica: racconta di un orco, l’Eiger, che vorrebbe attentare alla virtù di una vergine, la Jungfrau, e di un monaco, il Mönch, che si frappone tra i due per difendere la suddetta virtù. Punto. La vera storia etimologica dei tre invece è più lunga, più noiosa e per nulla precisa. La Jungfrau si chiama così perché i pascoli ai suoi piedi appartenevano alle monache (vergini) del convento di Interlaken, e spesso in passato i nomi degli alpeggi venivano estesi alle cime che li sovrastano; ma c’è anche la possibilità che il nome derivi dal bianco mantello della montagna, e soprattutto da un suo satellite, il Silberhorn, dalla forma di elegante cappuccio, che somigliano proprio ai candidi abiti di una monaca. L’Eiger divide gli studiosi tra il latino acer, acuto, e il termine dialettale Ger, giavellotto; mentre il Mönch potrebbe significare “i pascoli dei monaci”, in riferimento al convento maschile di Interlaken, ma anche “dove pascolano i vitelloni”, Münch in antico tedesco (così era riportato, per esempio, in una carta del 1606).La versione più suggestiva rimane comunque quella moderna, inventata, ma non del tutto. Che ci sia un’emergenza ambientale, una “virtù” da difendere sulla Jungfrau come sul resto delle Alpi, è evidente. Ed è oggi certificata dall’iscrizione all’albo dell’Unesco, anche se, come tutti i certificati di qualità, anche il marchio Unesco ha contribuito a portare nell’Oberland più arrivi, più sete di servizi, più fame di alberghi d’alta quota, parchi divertimento, impianti di risalita. Una palese contraddizione. Siamo sicuri dunque che la Vergine sia ancora tale?

Una salita contestata

La Jungfrau fu violata la prima volta un 3 agosto. O forse era un 3 settembre. Nel 1811, o era il 1812. L’incertezza dipende tutta dalla nebbia e dall’imprecisione delle relazioni di un’epoca in cui l’alpinismo non era una scienza esatta. I fratelli Meyer, Johann Rudolf e Hieronymus, provenienti da una ricca famiglia di mercanti di Aarau, erano partiti con un folto seguito di inservienti dalla Haslital, attraverso il passo di Grimsel erano divallati nel Vallese e avevano raggiunto la Lötschental. Qui avevano assoldato due cacciatori di camosci (se ne tramandano i nomi: Alois Volken e Joseph Bortis) e da loro guidati avevano valicato il Lötschenlücke, per scendere nel bacino dell’Aletschgletscher, da dove erano risaliti alla Rottalsattel e infine alla cima della Jungfrau. O probabilmente no, perché nessuno li aveva visti raggiungere la vetta ed è possibile che quella da loro toccata fosse invece il Gletscherhorn, un po’ più a sud della Jungfrau.

L’impresa era stata notevole comunque, ricca di temporali, bivacchi e fatica, ma venne contestata dalla gente della valle, e i Meyer si intestardirono a ripeterla l’anno seguente, ma in formazione differente. Questa volta andarono avanti i figli di Johann Rudolf, Rudolf jr. e Gottlieb, che dopo aver compiuto diverse evoluzioni sui ghiacciai e tentato perfino l’ascensione del Finsteraarhorn, montagna più alta dell’Oberland, finalmente si concentrarono sulla Jungfrau. Solo Gottlieb riuscì a calcarne la cima, guidato dai due cacciatori dell’anno precedente, e questa volta la sua bandiera fu ben visibile dalla valle. Durante la scalata del 1812, fu anche stabilita la via di salita normale, che raggiunge la sella della Rottalsattel dal circo Concordia sull’Aletschgletscher, dove oggi sorge un rifugio e dove, prima del rifugio, gli aspiranti scalatori bivaccavano in una grotta.

La Vergine da Schiller a Twain

Per quanto alta e maestosa, la Jungfrau non è mai stata terreno di gioco per il grande alpinismo moderno e le sue vie sono tutte di stampo classico, glaciale e di cresta. Nel 1885 un folto gruppo di Wengen guidato da Fritz e Heinrich von Allmen aprì la via del versante occidentale, salendo alla cima per la Innere Rottalgrat; nel 1911 fu la volta della più difficile cresta nordest, da parte di Albert Weber e Hans Schlunegger. Poi tutto cambiò nel 1912 con l’arrivo della cremagliera allo Jungfraujoch: la salita alla cima divenne questione di poche ore, e la ex Vergine fu, davvero, a disposizione di tutti. Oggi si può scalare in giornata, ma la maggior parte delle cordate, per usufruire delle ore più fredde del mattino, preferisce pernottare alla Mönchsjochhütte, rifugio abbarbicato a 3657 metri poco sopra la sella nevosa alla base del Mönch.

Ma ben prima del treno e del turismo globale, la Jungfrau ebbe una fama letteraria. Schiller la cita fugacemente nel Wilhelm Tell (1804) come uno degli elementi fondanti il mito di purezza elvetica; il Manfred di Byron (1816) cerca inutilmente la morte lanciandosi dai suoi appicchi; mentre la Yung-Frau, “montagna sublime” di un languido de Musset (1824) diventa la dimora degli dei. Infine Tennyson, idolo degli inglesi e della regina Vittoria, in uno dei suoi interminabili poemi la celebra senza mai nominarla: nel capito VII di The Princess (1847) si legge: “Come down, o maid, from yonder mountain height”. Il capitolo (che significativamente inizia con il verso “So was the sanctuary violated”) fu scritto ai piedi della Jungfrau, tra Lauterbrunnen e Grindelwald, dove il poeta risiedette nel 1846.

Va bene i poeti, ma perché tanta popolarità? Con i suoi 4158 metri, la Jungfrau è appena la terza vetta dell’Oberland per altezza: la precedono il Finsteraarhorn (4274 m) e l’Aletschhorn (4194 m). Eppure è in assoluto la montagna simbolo della regione, e uno dei simboli culturali della Confederazione. La ragione sta tutta nella sua geografia, e lo spiega bene Mark Twain, che con le sue cronache dal Vecchio Continente la fece scoprire anche al pubblico americano. Nel racconto di viaggio Twain in the Cradle of Liberty, pubblicato nel 1892 sulla Chicago Daily Tribune, così la descrive: “It is a good name, Jungfrau – Virgin. Nothing could be whiter; nothing could be purer; nothing could be saintlier of aspect”. Specie se visto dalle lussuose camere dell’Hotel Victoria-Jungfrau a Interlaken, dove Twain era ospite, l’intaglio scuro in fondo all’Höhematte da cui sorge la sagoma massiccia della Jungfrau è la cornice ideale per “il più affascinante spettacolo del mondo”. Il più bianco, il più puro, il più santo.

La marmotta e la cagnetta

La Vergine sarà forse santa, e certamente più mite del suo bellicoso compare, l’Orco. Ma pure nelle sue cronache i morti non mancano. Due gli episodi più rilevanti, distanti nel tempo ma uniti dall’inquietante particolare del numero delle vittime: sei in entrambi i casi. Nel luglio 1887 si trattava di un gruppo di giovani elvetici, saliti dalla parte del Rottal (con una marmotta catturata sul cammino) e investiti sulla cima da una violenta bufera; sopravvissuti a un gelido bivacco (la marmotta intanto era morta congelata), i sei ripresero il cammino tra i cumuli di neve fresca, ma bastò un passo falso per provocare una valanga che li trascinò a precipizio sullo Jungfraufirn. Esattamente 120 anni dopo, luglio 2007, un’altra valanga uccise sei militari, di un gruppo di dodici più due guide, che stavano salendo la cresta sudest dopo un’abbondante nevicata. Tragedie che non scoraggiano certo le centinaia di aspiranti summiter, attirati dalla “semplice” ascensione, resa oggi più complicata dal cambiamento climatico: nell’estate 2022 la Normale è stata chiusa per il troppo caldo.

L’idea che l’impresa fosse a portata di tutti era stata forse indotta dall’ascensione del 1871 di due, anzi tre, famosi alpinisti: miss Meta Breevort, suo nipote W.A.B. Coolidge e la loro amica Tschingel, guidati dalla celebre guida di Grindelwald Christian Almer. La cagnolina meticcia Tschingel, che alla fine della carriera avrebbe collezionato ben trenta cime, a detta di Coolidge si comportò in modo eroico: “Benché sanguinasse copiosamente da ogni zampa, ci guidò sulla roccia e sul ghiaccio, trovando la strada impeccabilmente ed evitando tutti i crepacci: in breve, una guida nata”.

Altri approfondimenti sul numero 120 di Meridiani Montagne “Jungfrau e Oberland Bernese”.

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