Ambiente

“Mai così poca neve sulle Alpi negli ultimi 600 anni” sostiene il CNR

La neve sta diventando sempre più effimera sulle Alpi, in Italia e altrove. Nonostante le differenze tra un inverno e l’altro, negli ultimi decenni stiamo sperimentando qualcosa che non si era mai riscontrato da prima della scoperta delle Americhe, avvenuta nel 1492. Nell’ultimo secolo, in media, la durata del manto nevoso sul terreno si è accorciata di oltre un mese.

Sono questi i drammatici dati forniti dall’articolo Recent Waning Snowpack in the Alps is unprecedented in the last six centuries, uscito il 12 gennaio sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Climate Change, parte del gruppo che pubblica anche Scientific American, fondata nel lontano 1845.  Il testo sulla riduzione del manto nevoso sulle Alpi è frutto del lavoro di un team di ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del clima (ISAC) del CNR di Bologna coordinato dal professor Marco Carrer del Dipartimento Territorio e Sistemi AgroForestali di Padova, e composto anche da Raffaella Dibona, Angela Luisa Prendin e Michele Brunetti.

Per lo studio dei cambiamenti climatici è necessario disporre di un’ampia prospettiva temporale. Purtroppo, quasi ovunque, le informazioni che riguardano il manto nevoso vengono raccolte solo da pochi decenni” spiega Michele Brunetti, ricercatore del CNR-ISAC. “Da qui la necessità di guardare oltre l’orizzonte fornito dai dati strumentali, e di trovare altre fonti che ci permettano di estendere a ritroso nel tempo la ricerche delle informazioni climatiche che ci servono”.

Abbiamo scoperto che un arbusto estremamente diffuso, il ginepro comune, quando si trova in alta quota ha un portamento strisciante sul terreno, ovvero cresce orizzontalmente molto vicino al suolo, ed è in grado di registrare nei suoi anelli di accrescimento la durata della copertura nevosa” spiega il professor Carrer, ecologo forestale dell’Università di Padova e coordinatore dello studio. “Il ginepro è alto poche decine di centimetri, e la sua stagione di crescita dipende fortemente da quanto precocemente riesce a emergere dalla coltre bianca che lo ricopre”. “Incrociando le misure degli anelli di accrescimento del ginepro, che può raggiungere un’età considerevole (oltre 400 anni), con un modello di permanenza del manto nevoso elaborato ad hoc, siamo riusciti a ricostruire le condizioni di innevamento negli ultimi sei secoli. In una delle piante studiate, in Val Ventina, in Lombardia, abbiamo contato ben 572 anelli di accrescimento” spiegano i ricercatori.

Oggi, in media, la neve resta sul terreno 36 giorni in meno rispetto alle medie di lungo termine. A partire dal 1971 sulle Alpi, tra novembre e maggio, la profondità media della neve, misurata in centinaia di luoghi, è diminuita in media dell’8,4% per decennio. Questi dati ci aiutano a comprendere che quello che stiamo vivendo negli ultimi anni è qualcosa che non si era mai presentato in precedenza. È la prima volta che si riescono a ottenere delle informazioni relative a un periodo così lungo per la presenza della neve sul terreno, che è una variabile meteorologica estremamente importante. Il manto nevoso, infatti, ha un ruolo chiave nel bilancio energetico terrestre, ed è anche fondamentale per i sistemi naturali, sociali ed economici della regione alpina che si sostengono grazie alla sua disponibilità.

E’ utile ricordare che le Alpi sono la catena europea che fornisce più acqua ai territori situati più a valle, attraverso fiumi come il Danubio, il Reno, il Rodano e il Po. Quest’ultimo, l’unico a sud delle Alpi, è il più sensibile dopo il Rodano se si bada all’equilibrio tra l’afflusso d’acqua e la domanda per usi agricoli, industriali e domestici. Le trasformazioni dell’ambiente alpino, che oggi si notano ad alta quota, avranno in futuro conseguenze nelle regioni più a valle. “Dovremmo acquisire maggiore consapevolezza delle nuove sfide dettate dai mutamenti, in atto e futuri, per una parte dell’Europa i cui equilibri si sono mostrati fortemente sensibili ai cambiamenti climatici” concludono Michele Brunetti e Marco Carrer.

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