Montagna.TV

Siccità: rifugi di montagna in affanno e il 25% rischia di chiudere in anticipo

Alla fine della scorsa estate aveva destato scalpore la notizia che il Rifugio Quintino Sella al Monviso era stato costretto alla chiusura anticipata a causa della siccità. “Era il 14 settembre – ricorda Alessandro Tranchero, gestore della struttura ai piedi del Re di pietra – e mai ci era capitata una situazione del genere”. Quest’anno, dopo un inverno tra i più asciutti della storia e una primavera caratterizzata da temperature quasi estive, la situazione appare ancor più drammatica lungo l’intero arco alpino.

Problemi energetici

Fortunatamente – prosegue Tranchero – le nostre problematiche non riguardano l’acqua sanitaria che otteniamo con un impianto di potabilizzazione, ma l’acqua che alimenta la turbina idroelettrica per rifornire di corrente il rifugio. È l’infrastruttura che garantisce la nostra autosufficienza energetica grazie soprattutto alla fusione della neve invernale: qualche pioggia o temporale non influisce in maniera significativa. Infatti, dopo un inverno così asciutto, e con il calo di portata che stiamo osservando, prevedo di accendere il gruppo elettrogeno a gasolio già tra una decina di giorni“.

Insomma, il rischio di chiusura qui è scongiurato, ma le prospettive sono comunque fosche, perché non ci sono soluzioni compatibili con le tempistiche di un’estate già avviata.

L’anno scorso – racconta sempre Tranchero – avevo iniziato ad accendere il generatore la seconda settimana di agosto quando l’energia idroelettrica non bastava per alimentare l’illuminazione e gli elettrodomestici del rifugio, tra cui i più importanti sono i frigoriferi e i congelatori che consentono di conservare il cibo. Quest’anno saremo almeno un mese in anticipo. Significa che dovremo ricorrere al gasolio, con un conseguente aumento delle spese perché il trasporto della materia in elicottero costa più del suo prezzo, già elevato a causa della guerra. Chiaramente ci stiamo già muovendo con il Club Alpino Italiano Centrale, proprietario della struttura, per individuare ulteriori captazioni e adottare strategie di risparmio energetico, ma è un lavoro di cui vedremo i risultati l’anno prossimo nella migliore delle ipotesi. Probabilmente la prima iniziativa che sarò costretto ad attuare sarà vietare ai clienti la ricarica dei device: è vero che uno smartphone assorbe poca energia, ma quando alla sera mi trovo a collegare alle prese un’ottantina tra telefoni, tablet, GPS e orologi, l’assorbimento di energia diventa notevole e insostenibile”.

Manca l’acqua potabile

Con l’attuale situazione – si inserisce Riccardo Giacomelli, presidente della Commissione Centrale Rifugi del CAI – prevediamo che il 25% dei rifugi di montagna sarà costretto a chiudere prima della conclusione della stagione per problemi di rifornimento dell’acqua potabile. In particolare, il territorio dolomitico sta soffrendo maggiormente a causa della scarsità di ghiacciai e ai fenomeni carsici dei terreni calcarei. Per correre ai ripari, il CAI ha da poco lanciato un bando emergenziale di 300 mila Euro con cui tamponare la congiuntura attuale, ma in prospettiva futura occorrerà un grande lavoro di adattamento strutturale agli effetti del cambiamento climatico che ci presenta sempre più spesso scenari come questo”.

D’altronde, la Commissione è nata espressamente con l’obiettivo di aiutare le strutture che offrono ospitalità in alta quota a restare al passo con i tempi sotto tutti i punti di vista: rispetto delle normative igieniche e di sicurezza, adeguamento ai cambiamenti nei gusti dei frequentatori e innovazione in campo ambientale.

Il problema della carenza di acqua in montagna – conclude Giacomelli – è un argomento che la nostra Commissione solleva da tempo, ma è stato un po’ sottovalutato dalle Sezioni che negli ultimi anni hanno presentato i progetti per accedere ai bandi. La speranza è che le difficoltà di questa estate siano uno stimolo per iniziare a investire davvero anche su questi temi. Resto fiducioso perché, sul breve periodo confido nelle straordinarie capacità di adattamento dei rifugisti, abituati quasi quotidianamente ad affrontare emergenze di ogni genere lavorando in un ambiente oggettivamente ostile, e sulle loro abilità ad adottare meccanismi di resilienza. Sul lungo periodo, stiamo lavorando per trasformare i rifugi in veri e propri laboratori di ecologia e di autosufficienza energetica in un ambiente come quello montano che è la sentinella dei cambiamenti climatici. L’obiettivo è sviluppare esperienze e modelli che potranno tornare utili anche in pianura e nelle città”.

Exit mobile version