Ambiente

Per salvare lo scoiattolo rosso non basta piantare alberi, servono le foreste

Piantare alberi ci aiuterà a salvare il mondo. Uno slogan estremamente diffuso nella lotta al cambiamento climatico, di fronte al quale gli esperti di scienze forestali inevitabilmente si ritrovano a storcere il naso. Si tratta infatti di una frase d’effetto, un po’ troppo semplicistica. Aumentare il numero di “polmoni verdi” è sicuramente un bene in quello che è il ben noto bilancio dell’anidride carbonica, ma “piantare alberi” non è propriamente sinonimo di riforestazione.

E anche riforestazione di per sé tocca ammettere che sia un termine utilizzato in maniera generalizzata, spesso anche come sinonimo di afforestazione. Nel Protocollo di Kyoto si fa netta differenza tra le due espressioni, evidenziando che afforestazione sia da utilizzarsi in caso di creazione di una foresta su un sito rimasto privo di copertura boschiva per oltre 50 anni, e riforestazione laddove una foresta sia stata convertita negli anni ad altri usi.

Le foreste sono degli habitat complessi, ricchi di biodiversità, non certo definibili come un banale insieme di alberi. Vi troviamo un mix di specie vegetali (arboree, arbustive e erbacee) che convivono con numerose specie animali (dai mammiferi agli uccelli, dai rettili agli insetti…) e un mare di microrganismi. Perdere una foresta equivale a perdere uno scrigno di biodiversità. Comprenderete facilmente che sostituire uno scrigno di tesori con una scatola di cartone equivalga a perdere del valore.

Qualora in una zona che in passato abbia ospitato una foresta si vada a sostituire una piantagione, ovvero un’area in cui vengono piantati alberi di determinate specie (anche una soltanto, nel caso delle piantagioni specifiche) a scopo commerciale (es. per la produzione di legno), va da sé che si stia realizzando un bosco di cartone.A livello di anidride carbonica sicuramente il globo terrestre andrà a guadagnarci, ma ciò non servirà a contrastare la perdita di biodiversità cui stiamo assistendo.

A dimostrare quanto, nel rendere il mondo più verde, sia importante puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità degli alberi che andiamo a piantare, è lo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris).

Scoiattolo rosso VS scoiattolo grigio

La presenza dello scoiattolo rosso o europeo, in Gran Bretagna come anche in Italia, è osteggiata da decenni dalla competizione con un cugino alloctono: lo scoiattolo grigio americano (Sciurus carolinensis). Questa specie è stata importata in Europa dal Nord America, sapete come? Acquistati come animali da compagnia, alcuni esemplari sono stati rilasciati in natura da padroni stanchi di averli tra i piedi, dando il via a un serio problema ecologico.

N.B. non tutti gli scoiattoli rossi sono rossi, la caratteristica peculiare che li rende facilmente riconoscibili sono i ciuffi auricolari.

La competizione tra le due specie si basa a quanto pare su un atteggiamento scaltro e scorretto dello scoiattolo americano, che furbescamente ruba le scorte alimentari per l’inverno al povero scoiattolo europeo. Tale descrizione un po’ da film Disney, in termini scientifici viene descritta come “esclusione competitiva”. Sia lo scoiattolo grigio che il rosso sono infatti arboricoli diurni, e si cibano delle medesime risorse. Vince il più forte.

Per il più debole, il rosso, la stagione più dura dell’anno diventa una lotta per la sopravvivenza e si evidenziano conseguenze negative sui livelli di riproduzione della specie così come di sopravvivenza dei cuccioli entro il primo anno di vita. Studi recenti hanno inoltre riscontrato che lo scoiattolo grigio sia in grado di indurre uno stato di stress debilitante per il cugino europeo, che mostra un incremento significativo della produzione di glucocorticoidi.

Come salvare lo scoiattolo rosso?

In UK e Irlanda, per aiutare lo scoiattolo rosso, sono stati avviati dei programmi di conservazione, basati sulla realizzazione di piantagioni di conifere alloctone (non native), vendute come soluzioni per contrastare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. In uno studio di recente pubblicazione su Proceedings of the Royal Society B, realizzato dalla Queen’s University Belfast, in Irlanda del Nord, e della University of St. Andrew’s, in Scozia, viene evidenziato come la “soluzione” delle piantagioni sia alquanto svantaggiosa.

In collaborazione con l’associazione ambientalista Ulster Wildlife e il supporto della citizen science, i ricercatori hanno piazzato delle fototrappole in oltre 700 siti nell’Irlanda del Nord in cui siano state realizzate piantagioni da legno. E per 5 anni hanno monitorato tre specie: scoiattoli rossi, grigi e martore eurasiatiche.

Ciò che è stato notato è che in queste piantagioni, che effettivamente “non piacciono” al cugino americano, la proliferazione dello scoiattolo rosso sia però ostacolata dalla presenza della martora. Se da un lato effettivamente le si possa riconoscere come soluzione alla diffusione dello scoiattolo americano, non sono per certo la scelta ideale per sostenere la ripresa dello scoiattolo europeo. 

La martora eurasiatica, piccolo predatore carnivoro appartenente alla famiglia dei Mustelidi, è una specie protetta in Gran Bretagna dagli anni Settanta, e da allora ha manifestato un bel recupero. In ricerche condotte in passato era stata descritta come un alleato dello scoiattolo rosso, in grado di determinare un controllo biologico sull’invasivo scoiattolo grigio. Nello studio viene chiarito un particolare: tale alleanza è effettivamente rilevabile in foreste di latifoglie autoctone, non nelle estese piantagioni di conifere alloctone, dove invece la presenza dello scoiattolo rosso risulta penalizzata dalla sua diffusione.

La ragione potrebbe essere legata alla mancanza per la martora di prede alternative, e per lo scoiattolo di rifugi, entrambi fattori legati a un paesaggio altamente semplificato e ripetitivo. Un paesaggio che in UK e Irlanda del Nord rappresenta il 75% della copertura boschiva, che tra l’altro è tra le più basse a livello di continente europeo.

Servono vere foreste

“Il nostro lavoro dimostra che sia necessario sviluppare una strategia nazionale di conservazione alternativa per lo scoiattolo rosso, puntando sul piantare specie native”, dichiara l’autore principale dello studio, il Dr Joshua P. Twining, della Queen’s University Belfast.

A conferma della tesi dei ricercatori, focalizzata sul territorio irlandese, possiamo riportare il caso dell’Italia laddove, in zone in cui siano stati abbandonati i pascoli, con conseguente ricolonizzazione spontanea delle specie forestali, si stia assistendo a una ripresa significativa della popolazione dello scoiattolo rosso.

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