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Everest vergogna: il volto cinico e disumano dell’alpinismo

Lukas Furtenbach, manager di una delle più importanti agenzie al mondo, ha chiuso qualche giorno fa la sua spedizione all’Everest dicendo che “continuare a mandare su le persone è negligente dal punto di vista legale e disumano dal punto di vista morale”. Il motivo è che i clienti, seppur negativi al Covid e in salute al campo base, potrebbero iniziare ad accusare i sintomi sulla montagna ai campi alti con enormi rischi per la loro salute e vita.

Condivisibile, ma il vero motivo per cui continuare a far salire i clienti sull’Everest è immorale e disumano è un altro. Infatti, mentre a Kathmandu si muore disperatamente soffocati perché non c’è più un soffio di ossigeno, sull’Everest 300 tra turisti/clienti e sherpa l’ossigeno se lo stanno ciucciano a 3 o 4 litri al minuto i primi per dar sfogo alla loro immensa ambizione, i secondi per necessità di lavoro.

Ancora una volta l’alpinismo si sta dimostrando vergognosamente egocentrico e cinico, disumano.

Le almeno 600 bombole di ossigeno usate fino ad ora e quelle ancora presenti al campo base (si calcola siano più di 2500) potevano e possono ancora salvare decine di persone lungo la valle del Khumbu e a Kathmandu. Purtroppo, non pare essere passato per l’anticamera del cervello di nessuno di questi cosiddetti clienti pretendenti la vetta e nemmeno delle affamate agenzie nepalesi, una volta che la situazione in Nepal è precipitata, di fare il gesto di rinunciare e donare quell’ossigeno, con il quale si sarebbero potute salvare delle vite.

Per la verità alcune spedizioni occidentali se ne sono andate dal campo base appena i contagi in Nepal sono esplosi. E questo attenua, ma certo non cancella il senso di vergogna e di pochezza etica e morale di cui il turismo d’alta quota o presunto alpinismo commerciale si è macchiato, facendoci vergognare agli occhi di centinaia di milioni di persone d’essere alpinisti, iscritti al club degli amanti della montagna.

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