Ambiente

L’architettura delle Alpi. Passato, presente e sostenibilità ambientale

Abbiamo intervistato Alberto Winterle, il presidente di Architetti Arco Alpino (AAA), un’associazione che dal 2016 si propone di mettere in comune risorse, energie e progetti con l’obiettivo di stimolare la reciproca conoscenza e comprensione dei diversi (ma per molti aspetti simili) territori delle Alpi.

Quando e come è nata l’associazione Architetti Arco Alpino?

“L’AAA si è costituita nel 2016 con il desiderio e la volontà di condividere progetti ed esperienze nei territori alpini e a oggi comprende diversi Ordini degli Architetti: Valle d’Aosta, Belluno, Bolzano, Cuneo, Novara e Verbano-Cusio Ossola, Sondrio, Torino, Trento, Udine e Vercelli”.

Le Alpi esprimono un territorio molto ampio. Quali sono i temi e le architetture comuni?

“Sicuramente il tema della fragilità dei territori alpini costituisce una priorità, evidenziata ulteriormente dalle molte azioni erosive e di trasformazione provocate da fenomeni naturali che riguardano la morfologia o eventi catastrofici (come Tempesta Vaia). L’idea del pericolo fa parte della quotidianità per chi vive i territori montani. Vi è poi la questione economica legata allo sfruttamento degli spazi, per la maggior parte dei casi correlata al turismo, sia inteso come un’eccessiva antropizzazione e colonizzazione o, al contrario, relativamente ai fenomeni di abbandono della montagna. Per l’architettura, sorgendo in generale sui pendii e sui terreni spesso strappati ai boschi, c’è una similitudine nelle modalità di insediamento, anche se per noi è più interessante cogliere e indagare le piccole differenze derivate dalle tecniche costruttive e dalle variabili disponibilità dei materiali locali (legno, pietra o altri)”.

A proposito del rapporto tra l’uomo e la natura, come si conciliano gli interventi architettonici con il paesaggio alpino?

“C’è una questione di onestà in chi costruisce, sia tra i progettisti sia tra gli imprenditori. Credo che, appartenendo al nostro tempo, dobbiamo essere coerenti con ciò che siamo. Ci sono però degli elementi che possiamo imparare dalle modalità di costruire e insediarsi di un tempo, diverse nei vari territori (le case Walser dell’Alta Valsesia assomigliano ai masi tirolesi ma in realtà ci sono delle importanti differenze), di cui spetta a noi a cogliere le peculiarità e farle proprie nel progettare qualcosa di nuovo ma che, allo stesso tempo, appartenga al nostro tempo. Se, infatti, anticamente le possibilità di movimento e utilizzo dei materiali erano limitate e si costruiva essenzialmente con ciò che si trovava sul luogo oggi possiamo creare un rifugio a 3.000 metri nello stesso modo in Val d’Aosta come in Trentino portando in quota qualsiasi tipo di materiale grazie all’elicottero: non siamo più “costretti” ad approvvigionarci in loco. In questa totale libertà, dove teoricamente si potrebbe progettare qualsiasi cosa, subentra poi la questione del limite ovvero c’è da chiedersi qual è l’architettura più opportuna da realizzare in quel luogo”.

E con l’attenzione alla sostenibilità ambientale?

“Sotto questo aspetto la storia ci insegna molto perché, se andiamo a vedere come e dove sono stati costruiti gli edifici e le strutture presenti nei nostri territori, possiamo già capire e imparare. Se, ad esempio, penso al Trentino e all’Alto Adige, nessuno in passato si sarebbe mai sognato di costruire in un luogo potenzialmente pericoloso e, tendenzialmente, si edificava sul conoide di deiezione, lontano dai ruscelli e cercando posizioni assolate che permettessero un comfort abitativo buono, progettando edifici aggregati, piccoli villaggi e non case isolate per non sprecare lo spazio utile a coltivare i terreni. Ora le logiche sono diverse, si costruisce dove il terreno è edificabile seguendo orientamenti e posizioni date principalmente dalla dimensione casuale di un lotto e non dal buon senso, dal rapporto con il contesto in cui si opera. Per costruire qualcosa che si possa considerare realmente sostenibile occorre seguire una logica insediativa coerente ai singoli territori e non avulsa agli stessi”.

La pandemia può rappresentare un’occasione per ripensare i territori dimenticati e le valli laterali delle Alpi e magari per tornare a (ri)abitarli più che a (ri)costruirli?

“Sicuramente nell’arco alpino, grazie o a causa dello sviluppo turistico, c’è stata soprattutto nel secolo scorso una continua tendenza a costruire. Già con la crisi economica degli ultimi anni, però, le dinamiche sono cambiate (e non solo in montagna): l’idea di sviluppo e crescita continua (chi aveva un albergo “doveva” ampliarlo e chi possedeva degli appartamenti in affitto “doveva” aggiungerne altri per avere più clienti e turisti) è risultato evidente un po’ a tutti non essere la strada giusta. Ora, con un po’ più di calma, possiamo rivolgere lo sguardo a ciò che già abbiamo invece di voler costruire nuovi edifici in luoghi dove ne esistono già molti altri e iniziare a valutare quelle “altre montagne” o quegli “altri luoghi” meno frequentati dove sono presenti edifici abbandonati (soprattutto nella zona delle Alpi occidentali) belli e ben conservati che possono essere reimpiegati e recuperati. Lo stesso vale anche per le aree più turistiche dove, per erigere nuove strutture ricettive, molto spesso si è lasciato il centro storico disabitato. D’altronde è la tendenza turistica generale ad essere cambiata: ora si cerca l’autenticità, si vuole vivere l’esperienza, i viaggiatori iniziano a ricercare non più solo il super confort della casa o dell’hotel appena costruito ma ambiscono a qualcosa di diverso, come il poter soggiornare in un agriturismo o in una struttura che possiede una storia per entrare a contatto con ogni singolo territorio in un modo diverso, forse più “pieno” e ricco di significato”.  

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Un commento

  1. Un tempo le stanze di case di montagna dai muri spessi, erano coibentate internamente con rivestimenti artistici di legno.. spesso di profumato cirmolo… adesso arrivano i Tir con lastre di materiale sintetico espanso per un tecnologico cappottone.Passati di moda pure i pannelli di trucioli misti a calce e cemento prodotto locale..o rivestimenti esternidi larice.Imposte , ringhiere .fioriere massicce ,arabescate in modo barocco rococo’ da macchinari a controllo numerico, al posto di linee semplci.Non parliamo di paesi visti dall’alto:un’ arlecchinata di varie tipologie di tegole, comprese lamiere arrugginite.
    Ricordo personale di una cronaca agostana anni ’80 : dopo un fortunale, un rio insignificante si ingrosso’, i rami mai piu’raccolti formarono una diga che improvvisamente cedette.Risultato:due turisti travolti e i loro corpi ritrovati pochi giorni dopo in basso tra detriti e casa recente in urbanizzazione valorizzante , attigua al rio dove giammai gli antichi abitanti avrebbero posizionato, con l’intero piano terra , infarcito fino al soffitto di fango e sassi.. portati da acque entrate dalle finestre da un lalo e uscite dall’altro.
    Per inciso, mega residence monstre in fallimento e pure in precoce degrado.. fortunatamente si comincia ad abbattere qualche albergaccio risalente al boom anni ’60..tanto volume low cost…divoratore di energia per il riscaldamento a nafta pesante.
    Per inciso, nelle foto che pro pongono vendite a distanza…sempre i locali sono illuminati dal sole e con sfondo panoramico. Chi conosce il posto reale, capisce che le foto sono state scattate in ora e stagione propizia, poi per quasi tutto il resto il resto dell’anno.. tra ombra di montagne attorno e collocazione, le medesime sono perennemente in ombra con ghiaccio e brina.e neve che se ne va per ultima.Pure per visita dal vero..attenti alla stagione ed all’ora dell’appuntamento col mediatore.

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