Filtri, formazione, ARTVA obbligatorio. L’Abruzzo scommette sulla sicurezza in montagna
La tragedia della Val Majelama ha segnato la coscienza dell’Abruzzo. La valanga che il 24 gennaio ha ucciso i quattro escursionisti di Avezzano, e i ventisette terribili giorni delle ricerche, hanno fatto capire a molti, nonostante il dramma del Covid, l’importanza di un intervento serio su questo tema.
“Mai più Forme! Non possiamo cancellare la tragedia, ma l’esperienza che abbiamo vissuto deve produrre sicurezza”. Tra gennaio e febbraio Guido Quintino Liris, Assessore al Bilancio della Regione Abruzzo con delega alle Aree interne e allo Sport, ha visitato per una ventina di volte il “campo base” dei soccorsi, nella frazione ai piedi della montagna. A Forme, Liris ha incontrato molte volte i parenti delle quattro vittime, Valeria Mella, Gianmarco Degni, Gianmauro Frabotta e Tonino Durante. E ha visto come i tecnici, i volontari e i militari del Soccorso Alpino e Speleologico Abruzzo, del Soccorso Alpino della Guardia di Finanza, della Protezione Civile regionale, dei Vigili del Fuoco, della Polizia di Stato e del 9° Reggimento alpini siano riusciti a capirsi, e a lavorare insieme. Dopo questa esperienza, il 17 marzo, l’assessore Liris ha convocato nella sede della Regione un “tavolo” operativo per la sicurezza in montagna. Insieme ai rappresentanti dei corpi e dei gruppi citati, erano presenti le guide alpine, il CAI e l’Università dell’Aquila. L’obiettivo è di impostare una legge regionale in materia, che potrebbe essere varata in primavera.
Le montagne dell’Abruzzo, come quelle delle altre regioni italiane, vedono da anni un afflusso crescente di persone, in estate e d’inverno. Molte di loro non sono equipaggiate e preparate in modo adeguato. “Nell’estate del 2020, dopo il primo lockdown, le nostre montagne hanno visto arrivare un numero mai visto di escursionisti, e anche gli interventi di soccorso sono aumentati in modo esponenziale” spiega Guido Quintino Liris. “Tra qualche mese, in estate, avremo un afflusso ancora maggiore. E’ necessario ridurre gli incidenti, e se saremo capaci di farlo riusciremo anche a risparmiare. Far volare gli elicotteri costa caro, gli stessi fondi possono essere investiti in promozione e in prevenzione”.
D’inverno, di fronte all’aumento degli incidenti, vari Comuni montani dell’Abruzzo (tra loro Scanno, Lucoli, Ovindoli, L’Aquila che comprende Campo Imperatore e i suoi valloni) hanno reagito vietando tutte le attività fuoripista, dallo scialpinismo alle passeggiate con le ciaspole. Un provvedimento che ha bloccato anche le uscite più sicure, e che è stato contestato dalle guide, dalle associazioni dei freerider e dal CAI.
I pilastri della legge regionale
Per rispondere a questa preoccupazione, il primo punto della legge regionale allo studio è l’obbligo del kit di sicurezza (ARTVA, pala e sonda) per tutte le uscite in ambiente innevato. Altrettanto importante, aggiungiamo, sarebbe rendere obbligatori, quando le condizioni lo impongono, l’utilizzo della piccozza e dei ramponi. Nei primi mesi del 2020 il Gran Sasso, la Majella e il Terminillo hanno visto numerosi incidenti mortali causati da scivoloni sulla neve ghiacciata.
Un altro punto qualificante della legge dovrebbe essere l’istituzione di “filtri” (l’assessore Liris li ha chiamati “gate”) di informazione e controllo, da installare all’inizio degli itinerari più pericolosi, e quindi all’albergo di Campo Imperatore, alla Majelletta e ai Prati di Tivo. Com’è accaduto qualche anno fa sulle Grigne, e come accade da anni ai piedi delle vie normali francesi del Monte Bianco, personale del Soccorso Alpino, istruttori del CAI e rappresentanti delle Forze dell’ordine potrebbero invitare a fermarsi le persone che si avviano in scarpe da trekking o moon boot verso dei pendii di neve ghiacciata. Lo stesso dovrebbe accadere, in estate, per chi parte con sandali o calzature da città verso i ripidi e sassosi sentieri del Corno Grande.
Un altro punto all’ordine del giorno del “tavolo” voluto dall’Assessore Liris è l’istituzione di un contributo obbligatorio per chi viene recuperato dal Soccorso Alpino dopo aver commesso delle evidenti imprudenze. Come esempio da seguire, nella riunione all’Aquila, è stata presa la legge della Regione Piemonte.
Perplessità dal Cai e la risposta della Regione
Nelle ultime settimane, l’attenzione della Regione Abruzzo per la sicurezza in montagna ha fatto nascere qualche perplessità nel Club Alpino Italiano. La Sezione dell’Aquila, in un ottimo documento del 24 febbraio, ha rivendicato il diritto di escursionisti, alpinisti e scialpinisti ad affrontare dei rischi calcolati. Il confronto con Guido Quintino Liris e il suo team è in corso.
Il progetto della Regione Abruzzo, però, non si rivolge soltanto ai soci del CAI, che hanno gli strumenti per conoscere le difficoltà e i pericoli delle terre alte. “Credo che sia importante preparare alla montagna i giovani abruzzesi. C’è bisogno di uscite sul terreno e di un lavoro culturale. Per entrambi sono preziosi l’esperienza del CAI, e la sua diffusione sul territorio” spiega Liris. Poi ci sono i visitatori che arrivano da fuori regione. Salire sul Corno Grande in estate è un’avventura alla portata di molti, e lo stesso vale per un’escursione invernale da Campo Imperatore verso il rifugio Duca degli Abruzzi e la cresta della Portella d’inverno. Gli inesperti, però, devono andarci insieme alle guide alpine. Gli interventi per la sicurezza potrebbero portare lavoro a questi professionisti della montagna.
Altri interventi possibili
Tra gli interventi possibili in tempo brevi sono l’attivazione di un rilevatore Recco con base all’aeroporto dell’Aquila, in grado di intervenire in tutto l’Appennino centrale. Nelle prossime settimane la Regione dovrebbe concedere al Soccorso Alpino una base all’Aquila, dopo quella che già funziona a Pescara. L’ultimo punto da affrontare è più complesso dal punto di vista istituzionale. Parliamo del rapporto con le Regioni vicine, dall’Umbria fino alle Marche e al Molise. E soprattutto del Lazio, da cui vengono migliaia di frequentatori delle montagne d’Abruzzo, e purtroppo molti “clienti” degli interventi di Soccorso Alpino. Dei “filtri”, soprattutto d’inverno, sarebbero utili anche a Forca di Presta, ai piedi dei Monti Sibillini, nelle Marche, oppure al Terminillo. Per chi amministra Roma e il Lazio, però, la montagna è un tema lontano e sconosciuto. “Sarebbe bello se l’Abruzzo, che è il cuore dell’Appennino, riuscisse a indicare la strada ai suoi vicini in materia di sicurezza sulle vette” conclude l’assessore Liris.
E la strage quotidiana sulle strade? Non sono forse tutti con patente ministeriale, cinture di sicurezza, auto con scocca di protezione, gendarmi vari ecc. ecc,? Se non è solo la nuova ideologia del controllo simil-cinese della popolazione, a quando allora un blocco totale del traffico? Ipocriti. Matto chi li vota questi politici.
Inutile Alex, anche se ne voti altri e altri ancora sarà sempre uguale, tutti schierati dalla stessa parte: il controllo totale.
Buongiorno. ok con corsi di formazione ,per chi lo desidera, un idea potrebbe essere ,che nelle strutture alberghiere,una sera alla settimana ,un “esperto”, si propone x consigli intinerari o consigli atrezzatura , sempre x chi lo desidera.Pero” da un anno a questa parte OBBLIGO E DIVIETI sta diventando una normalità,come si fa a viatare un intera montagna per rischio valanghe 3? in che modo obblighi le persone a dotarsi di artva? in che modo puoi sconsigliare un intinerario? Non siamo numeri da incasellare nei grafici.In certe località, ci sono i campi neve per esercitarsi con ARTVA, questo è un buon esempio.bisogna invogliare a documentarsi ed esercitarsi.non obbligare o vietare.
Leggendo mi sembra che i politici abbiano capito molto bene e si curino gli interessi con questa ghiotta occasione.
Impongono che la prima cosa da portare sia l’Artva, poi i ramponi e la piccozza……….. e infine creeranno dei posti di segnalazione/selezione.
Fanno esattamente il contrario di ciò che andrebbe fatto a basso costo e che è sempre l’istruzione !
Ma la torta “delle regole da seguire” è sempre bella grossa e si può inventare, in più tutti ci si buttano per averne una fetta.
Spero che la gente capisca e impari a stare attenta a quello che fa in montagna.
Aggiungo: ARTVA è un apparecchio x ricerca. Averlo non sei sicuro da nulla.
Vero Albert l’artva non ti fa stare al sicuro, ma almeno non impieghi un centinaio di persone per 27 gg. a cercare 4 dispersi sotto la neve!!!
Si vede che le 100 persone per 27 giorni non avevano niente di meglio da fare. O forse erano ben contente di farlo. Il disgelo avrebbe lavorato gratis.
È ridicolo aver protratto le ricerche così a lungo con così tante risorse, chi lo ha deciso? Con soldi pubblici…non deve diventare questo il pretesto per una legge liberticida e ipocrita. ..l’ennesima in Italia.
bisogna smettere di promuovere la montagna come turismo di massa. è vergognoso. lo si fa solo per i soldi. la montagna è un luogo per pochi e deve rimanere tale. non si possono portare i grandi numeri in montagna per i grandi guadagni. in montagna si spende energia, non denaro. è per pochi? si, è veramente per pochi e deve rimanere così. pena l’aumento degli incidenti e delle corse per i soccorsi…che sono davvero antieconomici!
Sin da quando questa imposizione è stata fatta per legge in Piemonte mi son sempre chiesto che senso avesse obbligare la gente ad avere l’artva, la pala e la sonda. Ma se non li sai usare o non hai mai fatto corsi in merito che utilità hanno. Obbliga pure uno a comprare l’artva, ma se poi lo tiene spento tanto vale. E non mi si dica che, solo per il fatto di averli si è spinti ad usarli perchè non è vero. Quanta gente è obbligata a tenere le catene in macchina e poi al momento di montarle non sa neanche da che parte cominciare. L’unica soluzione è la formazione e l’esperienza.
Beh, se ci sono tante persone che comprano le catene e non provano ad usarle, o comprano l’artva e lo tengono spento, non è tanto questione di formazione, di corsi e di patentini, è che stiamo diventanto una società di ebeti.
Io la penso come te, ma nel caso delle catene l’idiozia della legge impone di averle non di saperle usare. Idem per gli attrezzi di sicurezza scialpinistica. E, il fatto di avere tali strumenti, purtroppo, non implica in automatico il saperli usare. Sapessi quanta gente ho visto con la macchina ferma sotto la neve imprecare per cercare di montare le catene per poi guardarsi intorno alla ricerca di qualche buon samaritano che li potesse aiutare 🙂
Se non ci fosse da piangere mi verrebbe da ridere!!!
Intanto chi produce ARTVA che hanno tecnologie anni ’70/’80 e vengono venduti a peso d’oro i sfrega le mani….per i varchi di selezione meglio non commentare nemmeno….
Sono sempre più convinto che l’unica via di uscita da questo delirio di divieti e regole sia l’impegno, anche personale, verso una crescita culturale generalizzata.
Portare con sé l’Artva è un obbligo morale, verso la propria famiglia e verso i soccorritori, anche se si va in montagna da soli. Resta chiaro il fatto che pala, Artva e sonda sono strumenti di autosoccorso, che possono salvare un compagno di gita: quanto interviene il Soccorso Alpino è quasi sempre troppo tardi.
L’obbligo di legge di dotarsi di questi strumenti ha un senso solo nel presupposto che li si sappia usare. Esempio banale: prima si prende la patente, poi si compra la macchina; prima si ottiene il porto d’armi, poi si va in armeria. Se passa l’idea dell’obbligatorietà del possesso di certi strumenti, senza prevedere una formazione preventiva, si fa una cortesia ai commercianti e basta.
Sarebbe più saggio, da parte delle autorità politiche, investire fondi a vantaggio delle realtà formative, per “costruire” cultura dell’alpinismo. Ci sono le Guide Alpine, ci sono le Scuole del CAI. Basterebbe investire una briciola di denaro pubblico per sostenere economicamente, e quindi incentivare, tanti ragazzi che non hanno soldi da spendere. Se il costo per frequentare un corso fosse, anche in piccola parte, a carico dello Stato (quindi delle Regioni o degli Enti comunali), si creerebbe un meccanismo virtuoso di crescita e si interromperebbe un cortocircuito istituzionale in cui le Amministrazioni dello Stato sono cadute.
Se ci si pensa bene ci si accorge che la cultura e l’istruzione tolgono il lavoro garantito, quello che ha bisogno di strutture di protezione per sopravvivere.
Un po’ come le religioni, anche se queste servono per giustificare la morte.
E la gente raramente vuole capire e impegnarsi, preferisce avere risposte facili da trovare.