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Il Dakota C-53 precipitato nel 1946 emergerà prima del previsto dal ghiacciaio

Il 19 novembre 1946 un Dakota C-53 in volo da Monaco a Marsiglia, precipitò sulle Alpi dell’Oberland bernese, in Svizzera. I piloti, finiti fuori rotta a causa della nebbia, si erano ritrovati costretti a un atterraggio di emergenza sul ghiacciaio del Gauli che avvenne a ben 280 kmh, fortunatamente senza vittime. Seguì una imponente operazione di salvataggio ad alta quota che vide impegnate squadre di soccorso statunitensi e svizzere. I resti del velivolo furono intenzionalmente lasciati sulla montagna, come dono degli USA alla Federazione Svizzera, allo scopo di utilizzare il Dakota per monitorare i movimenti del ghiacciaio stesso.

Nei decenni neve e ghiaccio hanno preservato i resti, che hanno iniziato ad emergere solo nel 2018. Un blocco motore con l’elica, alcune parti dell’ala e materiale di piccole dimensioni, in lamiera e legno, per un totale di circa 2 tonnellate. Lo scorso anno il Politecnico Federale di Zurigo (ETH), a seguito della elaborazione di modelli del movimento della massa glaciale, avevano stimato che le parti rimanenti, tra cui la cabina di pilotaggio, avrebbero potuto emergere tra il 2027 e il 2035. Negli scorsi giorni un comunicato dell’Università ha però annunciato una revisione delle stime.

L’aereo potrebbe emergere prima del previsto. “Le tracce radioattive della Guerra Fredda ci indicano che potrebbe succedere molto presto”, dichiarano i ricercatori di Zurigo. Tracce radioattive? Guerra Fredda? Cerchiamo di comprendere insieme a cosa si riferiscano.

Alla ricerca del plutonio tra i ghiacci

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta praticamente tutto il Mondo fu contaminato dalle sostanze radioattive rilasciate dai primi test nucleari effettuati al di sopra della superficie terrestre. Tali sostanze si ritrovano immagazzinate nei sedimenti lacustri così come nei ghiacci alpini.

“Queste sostanze – spiegano nel comunicato ufficiale gli scienziati di Zurigo – consentono di datare eventuali reperti nascosti nei ghiacci o nei sedimenti”. Ricercare i radionuclidi nelle profondità di un ghiacciaio può infatti consentire di datare il ghiaccio stesso.

Una metodologia finora applicata con ottimi risultati in ghiacciai freddi, come quelli dell’Antartide o della Groenlandia, ovvero che presentino scarsi movimenti in quanto si trovano a livello del suolo. Ma nel caso di ghiacciai alpini temperati, decidere di tentare per la prima volta l’applicazione di questo metodo è stata un po’ un terno al lotto. Le tracce dei radionuclidi possono infatti essere cancellate dai movimenti dei ghiacciai e dalle acqua di scioglimento.

Il Politecnico di Zurigo ha dunque deciso di sfidare la sorte, mettendo in campo un progetto ambizioso che ha visto la collaborazione dell’esercito svizzero, che si è occupato della raccolta dei campioni di ghiaccio, successivamente analizzati dal Laboratorio Spiez dell’Istituto Federale per la Protezione NBC.

Da dove iniziare?

La domanda di partenza per dare il via allo studio può sembrare scontata: da dove iniziamo? In realtà si tratta di un quesito di estrema importanza. Gli scienziati hanno infatti dovuto comprendere in quale punto andare a ricercare gli isotopi radioattivi.

Le aree di saggio dove trovare ghiaccio degli anni Cinquanta – Sessanta sono state definite a partire dai modelli elaborati dall’ETH per ripercorrere i movimenti del ghiacciaio. Esattamente gli stessi modelli utilizzati per stimare i movimenti dei resti del Dakota.

Una partenza non delle migliori

Definiti in linea empirica i punti in cui campionare, i soldati sono saliti in quota una prima volta nel 2018. Le prime analisi sui campioni hanno però portato lo sconforto nel team di scienziati dell’ETH. Nel ghiaccio non si è rilevata alcuna presenza di plutonio, l’elemento più utilizzato nelle bombe atomiche.

“Non è che sia stata poi una estrema sorpresa che i nostri calcoli fossero imprecisi – evidenzia Guillaume Jouvet, coordinatore dello studio – I nostri modelli richiedono dati precisi in merito alla quantità di neve depositata sulla superficie del ghiacciaio, allo scioglimento del ghiaccio e alla velocità di flusso superficiale del ghiaccio. Sfortunatamente tali dati non sono noti per il ghiacciaio del Gauli, quindi abbiamo proceduto mediante inferenza statistica, a partire da dati di remote sensing e dati climatici. Si tratta di stime, inevitabilmente imprecise. In particolare, più si va indietro nel tempo più l’errore può risultare elevato”.

La seconda volta è quella buona

Nell’estate 2019 l’esercito svizzero è tornato in azione, collezionando nuovi campioni su un’area più ampia. Come evidenziano i ricercatori nel comunicato, “per questi soldati specializzati, che in caso di emergenza devono essere in grado di riconoscere tracce di armi nucleari, biologiche e chimiche, si è trattato di una bella esercitazione”.

Supportati dal bel tempo, hanno proceduto alla raccolta di campioni in oltre 200 punti. In totale è stata rimossa circa mezza tonnellata di ghiaccio su una estensione di 2 km. Il laboratorio Spiez ha proceduto nuovamente ad analizzare i campioni, stavolta con successo.

“I campioni raccolti nella seconda spedizione mostrano chiaramente due picchi di inquinamento da sostanze radioattive accumulatesi tra il 1957 e il 1962. La contaminazione si arresta in maniera improvvisa nel 1963″, riporta Jouvet. Grazie ai nuovi dati raccolti è stato possibile ricalibrare il modello impreciso di scorrimento del ghiacciaio, concludendo che le stime precedenti fossero sottostimate. Il ghiacciaio si sta muovendo verso valle a velocità ben più elevata del previsto.

Una mappa dell’età del ghiacciaio

Sulla base delle nuove informazioni ottenute, i ricercatori hanno proceduto a realizzare una mappa dell’età del ghiaccio lungo tutto il ghiacciaio del Gauli. La mappa mostra il ghiaccio più antico localizzato nella parte più bassa della lingua del ghiacciaio. Mentre il più recente si localizza nella parte superiore.

“Si tratta della prima mappa di tal genere – afferma entusiasta Jouvet – . E potrà risultare utile ad altri scienziati impegnati nello studio del ghiaccio del secolo scorso. La nostra mappa consente infatti di sapere in anteprima dove trovare il ghiaccio di una certa età, senza necessità di perforazioni complesse e costose”.

Manca poco al riaffioramento del Dakota

Arriviamo al punto “Dakota”. Come si diceva poc’anzi, le nuove stime parlano di un movimento del ghiacciaio più intenso rispetto alle precedenti previsioni. Lo scorso anno gli scienziati dell’ETH avevano stimato che i resti dell’aereo militare ancora inglobati nel ghiaccio sarebbero potuti riemergere tra circa una decina di anni. Secondo i nuovi dati, manca davvero una manciata di anni per vedere apparire la carlinga e gli ultimi residui dalle profondità del Gauli. A livello di posizione, dovrebbero riemergere non distanti dai ritrovamenti finora effettuati.

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