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Ieri e oggi al tempo delle pandemie, la Spagnola in montagna. Analogie e differenze tra passato e presente

Testo di Giancelso Agazzi, membro della Commissione Centrale Medica del CAI

Si è svolto mercoledì 2 settembre 2020, in occasione del Trento Film Festival 2020, un convegno dal titolo “Covid e Montagna”. L’evento è stato organizzato dalla Società Italiana di Medicina di Montagna (S.I.Me.M.) in collaborazione con il Festival e la Commissione Centrale Medica del CAI.

Qualche dato sulla Spagnola

In occasione del convegno ho presentato una relazione dal titolo “Ieri e oggi al tempo delle pandemie, la Spagnola in montagna: analogie e differenze tra passato e presente”. L’influenza spagnola ha infatti causato la morte di 350-600.000 vittime in Italia, quasi più di quelle provocate dalla Grande Guerra (650.000). Per non parlare del mondo intero, dove ci sono stati circa 50 milioni di morti. Il 30% della popolazione mondiale si è ammalata. È stata, probabilmente, la più grande pandemia influenzale conosciuta dal genere umano. Per i dati relativi all’infezione causata da SARS-CoV-2 si dovrà aspettare.

Le similitudini tra Spagnola e SARS-CoV-2

Quello che possiamo oggi dire è che entrambe le pandemie sono zoonosi, cioè malattie infettive trasmesse all’uomo da animali. Il genere femminile fu il più colpito nel corso della pandemia di Spagnola e nella popolazione civile si registrarono più vittime rispetto all’esercito e la fascia di età bersaglio era quella compresa tra i 20 e i 40 anni. Si pensa che la Spagnola abbia iniziato il suo crudele viaggio partendo dalla Cina, per portarsi negli Stati Uniti d’America nel corso della primavera del 1918 e, poi, arrivare in Europa nei mesi successivi con i soldati che sbarcavano sulla costa atlantica della Francia. Alcuni epidemiologi hanno ipotizzato che il virus si sia diffuso a partire dalla provincia di Kwangtung e che in origine albergasse negli uccelli e che, grazie a modificazioni genetiche, si sia trasmesso ai maiali, determinando un’influenza suina e, poi, abbia contagiato l’uomo (spillover). Secondo l’Istituto Centrale di Statistica la regione italiana, il maggior numero di vittime fu in Lombardia (36.653), seguita dalla Sicilia (29.966), anche se le Regioni con i più alti tassi di letalità furono Lazio, Sardegna e Basilicata. L’Italia fu una delle nazioni più colpite dall’influenza Spagnola, con un tasso di mortalità secondo solo a quello della Russia.

Per l’infezione da SARS-CoV-2 si può ipotizzare che l’Italia non troverà posto sul triste podio, anche per l’efficacia delle misure di contenimento adottate (draconiane, ma necessarie). La prima fase della Spagnola nel 1918 costrinse decine di migliaia di soldati al riposo forzato, lo stesso valse per i cittadini non militarizzati. La maggior virulenza (“seconda fase” dell’epidemia) avvenne da agosto fino all’autunno per proseguire in una “terza fase” nell’inverno del 1919. Da sindrome influenzale (con tosse, febbre, algie muscolari) si aggravò con serie complicanze polmonari. La Spagnola durò dal 1918 al 1920. Non si può al momento prevedere quanto durerà la malattia Covid-19 e per quanto si protrarranno i suoi strascichi. Entrambe le pandemie hanno la stessa modalità di trasmissione, le vie aeree. Il periodo di incubazione della Spagnola oscillava tra i 2 e i 3 giorni, mentre quello della Covid-19 tra i 3 e i 14 giorni.

Ai tempi della Spagnola la censura e il negazionismo erano strategici da parte delle autorità. È proprio alla censura che si deve l’aggettivo “spagnola” che, poi, divenne un sostantivo: in quel momento storico la Spagna era neutrale, e i suoi giornali, privi di bavagli, potevano liberamente pubblicare notizie sulle morti via via più numerose, quindi descrivere le reali dimensioni dell’epidemia. Così passò l’idea che la “grande influenza” fosse un problema sostanzialmente iberico. In Italia non si poteva pronunciare il termine “spagnola” e in alcune città, per ordinanza del prefetto, non si potevano suonare le campane a morto, e per ordine del Primo Ministro Emanuele Orlando erano vietati i cortei funebri e i necrologi.

La Spagnola nella Guerra Bianca

Nella pubblicazione Guerra Alpina sull’Adamello 1917-18 di Vittorio Martinelli è riportata una lettera del Sottotenente Giovanni Rolandi in cui si racconta che il 13 maggio 1918 un’epidemia influenzale (“Spagnola primaverile”) colpì in modo inaspettato, per un solo giorno, i soldati del battaglione Monte Mandrone accampati nell’alta Valle Camonica presso il rifugio Garibaldi (2548 m.). L’evento ritardò l’azione già programmata sul ghiacciaio di Presena. Tutti i soldati del battaglione Mandrone, probabilmente immunizzati, non si ammalarono nel corso della seconda ondata in autunno del 1918, ad eccezione di dieci Alpini che nel mese di maggio non erano stati al rifugio Garibaldi. Nello stesso libro si racconta che nei mesi di novembre e dicembre 1918 la “Spagnola autunnale” decimò i battaglioni austro-ungarici in Alto Adige: la dieta dei soldati imperiali era a base di carne, mentre quella dei militari italiani era più ricca di verdura e frutta, quindi di vitamine, utili a sostenere il sistema immunitario (oggi è fuori discussione il ruolo cruciale della nutrizione nella prevenzione e nel coadiuvare il trattamento di svariate patologie, nel contesto di uno stile di vita salutare – dieta mediterranea).

Un terzo dei soldati morti nella zona dell’Adamello pare sia deceduto per l’epidemia. Tra le truppe dell’Impero Austro-Ungarico la mortalità fu quasi tripla rispetto a quella dei soldati italiani perché le prime esposte su più fronti, compreso quello galiziano. La testimonianza di don Primo Discacciati, cappellano militare presso l’ospedaletto da campo n°25 in Val Camonica, racconta nel suo diario la tragedia delle truppe italiane colpite dalla pandemia.

Protocolli ad hoc furono adottati per le squadre del Soccorso Alpino, anche se nel corso della Guerra Bianca ai tempi della Spagnola è probabile che nessuno si sia posto il problema di come soccorrere i soldati feriti in montagna per evitare il contagio.

Al tempo della Spagnola erano i soldati a spostarsi più dei civili, favorendo il contagio e un problema erano i soldati che andavano in licenza che rischiavano di contagiare la popolazione civile (molto pericolosi gli spostamenti in treno). Oggi la trasmissione del Sars-Cov-2, soprattutto nelle regioni alpine, è legata al turismo o al movimento dei pendolari, oppure delle merci. Solo nelle zone non interessate dal turismo o con difficoltà nella rete viaria si sono verificati meno contagi.

I rimedi: mascherine, isolamento, distanziamento

Ieri, come allora, fu consigliato a tutti, per prevenire la trasmissione del virus, l’uso della mascherina. Era stato ordinato che tutti gli impiegati che venivano a contatto col pubblico, durante le ore di lavoro – nelle banche, nelle tavole calde, nelle pasticcierie, negli ascensori, nei negozi di barbiere – dovevano indossare una mascherina impregnata di speciali sostanze medicinali, uniformandosi a quanto faceva il personale ospedaliero. Migliaia di cittadini lo considerarono un colpo inferto alla propria libertà personale e reagirono con aperta ostilità: “Sembriamo un branco di cani con la museruola” scrisse furibondo qualcuno. Per i malviventi questo camuffamento fu una manna dal cielo (R. Collier, La malattia che atterrì il mondo, cit., pp. 180-183).

Provvedimenti di isolamento furono applicati con maggior efficacia nell’esercito, ma il contesto economico e sociale del fronte interno – una società̀ al servizio della macchina bellica che non poteva fermarsi – fu favorevole al contagio. Il distanziamento sociale, che viene attualmente adottato nell’epidemia di Covid-19, venne invocato anche dai medici nel corso della pandemia di Spagnola, ma fu poco praticato. I rimedi allora si limitavano alla cura dell’igiene personale e alla assunzione di pastiglie e di sciroppi prima impiegati contro il raffreddore. Tra questi l’acido fenico, la canfora, la digitale, la caffeina, l’olio di ricino, la valeriana e la morfina. L’aspirina venne usata in modo smodato, con dosaggi eccessivi, causando la morte di alcuni pazienti. Cominciarono a circolare voci su alcuni farmaci che avrebbero potuto funzionare anche a scopo preventivo, tra questi il chinino che iniziava così a sparire dalle farmacie sottratto a chi ne avrebbe avuto sicuramente bisogno, come i malati di malaria. Il chinino era un cardiotonico: si pensava che questa sua azione sul cuore rinforzasse l’intero organismo, rendendolo più resistente nel caso in cui si ammalasse di Spagnola. Contro l’influenza si pubblicizzarono tutti i tipi di cure più o meno miracolose: saponi, collutori, pomate e persino aspirapolveri per liberare l’aria dai germi. Si diceva, che il consumo di tabacco e di alcol aiutasse a prevenire e curare l’influenza. Già meglio rispetto a Trump che ha suggerito iniezioni di candeggina.

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5 Commenti

  1. visti gli ammassi di imbecilli filmati ieri a Cervinia ,mi sorge il dubbio che cento anni fa ci fossero in circolazione persone più intelligenti:

  2. Dopo un articolo in generale interessante ringrazio per la perla finale a sfondo politico del tutto innecesaria che svela l’inclinazione politica dell’articolista. Ma era davvero necessario? Prudevano le mani?

  3. Articolo molto interessante.Da un nonno ex ardito del Piave ma non ingaggiabile dal PNF non ostante i vantaggi che avrebbe potuto trarne, non avrei potuto sentire racconti di guerra ed imprese,manco’ prima che nascessi..Ma dal Secondo neppure perche’ era riottoso a rivangare, da quel poco che fece trapelare di combattimenti aveva un misto di vergogna per aver dovuto uccidere sul Monte Tomba per non essere ucciso e nel misto ci metteva astio e rancore per come venivano trattati i fanti da superiori del’ esercito regio savoiardo ansiosi di fare carriera a loro spese con ordini assurdi di assalti temerari.Se L’assalto non riuscva , i capetti insultavano i fanti a con commenti avvilenti su codardia , scarso spirito combattivo ecc.Col tempo pero’ i sueperiori tendevano ad amamnsirsi, anche perche’ nelle scaramucce confusionate epartivano colpi nei loro confronti.
    Passati gli anni, ci fu nel dopoguerra la corsa alla pennicilina .La polmonite e le infezioni da ferita mietevano vittime anche tra le due guerre e le prime fiale venivano contrabbandate da sanitari Usa ,alcuni si vendevano i campi per salvare un parente .Della Asiatica ho diretta esperienza in quanto colse me scolaretto e tutti i famigliari allargati, con gravi perdite.
    Di mascherine, lavaggio mani,distanziamento non si sentiva parlare, c’ era solo una radio gracchiante.Molte perdite pure per tecniche ed attezzature di rianimazione approssimative rispetto alle attuali.
    Ma il ricordo piu’ vivo lo serbo della epidemia Hong Kong , subita probabilmente per frequenti settimanali viaggi in treno per pendolari e lezioni in aule universitarie , sempre ammassati.Mascherine e disinfezione mani e distanziamento..mai sentito niente eppure la Rai aveva 2 canali.I postumi respiratori mi durarono anche anni il medico di famiglia mi consigliava di respirare aria piu’ salubre e di praticare sport,oltre a dieta ricca id vedire e vitamine.
    Lo ascoltai alla fine del serviziomilitare d ileva scegliendo di andare a lavorare in Montagna dolomitica a 1200 metri e praticando sci fondo, escursionismo difficile e aria buona sempre.
    In Localita’Selva di Cadore , ebbi una chiaccherata con un abitante locale, che mi narro’delle vicende di une x sanatorio locale Inps orma icon cambio di destinazione, forse venduto e trasformeto.Mi racconto’ anche di studi sul mix di atmosfera locale scarsa di pollini, microbi ecc ancora valida negli anni del terzo millennio …sempre che l’affollamento di sciatori nel week end o stagione invernale non facesse pompare i riscaldamenti a Gasolio o legna resinosa umida…e importazione di virus.Mascherine e igiene mani??Pare l’abbiano scoperta asolo dallo scorso anno…e invece era consifgliata e praticata a fin dalla grande Guerra.

    1. Un consiglio (non polemico) con tutto il rispetto: rileggere ciò che si scrive aiuta a correggere gli errori…
      Il lettore ne trae beneficio.
      Grazie

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