Alpinismo

Cina, reportage dalla Valle delle Meraviglie

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SICHUAN, Cina — "La seconda parte del nostro viaggio verso il ‘cervello’ del Genyen è segnata da numerosi colpi di fulmine (in tutti i sensi). Come quello per il Shashung, un’aguglia patagonica di 5750 metri lanciata per sbaglio nel Sichuan cinese". Inizia così il racconto degli ultimi giorni dell’avventura 2006 di Karl Unterkircher e compagni. La spedizione si trova ora lungo il cammino di rientro e arriverà tra pochi giorni in Italia. 

"L’amore a prima vista per il Shashung (che per i monaci significa Dio protettore) è totale da parte di tutti. Chi vuole circuirla, chi assaltarla: un’attrazione irresistibile per una parete Est che racchiude il viso della divinità a chi sa guardarla. In più, un buon motivo per provarci ci viene offerto dai monaci medesimi, i quali con entusiasmo partecipano all’allestimento del Campo 1 che rappresenterà il trampolino per la cima. 
 
Ed è Karl, trattore turbocompresso da mille cavalli, a trascinare gambe, polmoni ed occhi verso il suo vertice catalizzatore. Ma, c’è un ma…In questa Valle delle Meraviglie è arrivato qualcosa, una specie aliena, che se non si chiama Monsone deve essere il suo fratello gemello. Ci viene il dubbio che gli Dei siano arrabbiati con noi, ancora per quella vecchia faccenda del Genyen…ma i monaci, che certamente delle loro divinità sono più esperti, ci assicurano sia solo una coincidenza meteorologica.
 
La Valle sembra trasformarsi in qualcosa di ostile nei nostri confronti, non ci concede nulla: non qualche ora di sole che asciughi, non la possibilità di goderne gli effetti benefici. Per lungo tempo qui è pioggia, giorno e notte, e umidità, che da dentro e da fuori sale nell’aria e non ti si scolla più. Aderisce molto bene anche ai vestiti, alle tende, ai sacchiletto, e mette a durissima prova la resistenza delle articolazioni del morale.
 
Beviamo brodo in un bicchiere sporco di caffè che ha il sapore del succo d’arancia. Varie disperazioni si assommano nella tenda comune e si rafforzano l’un l’altra: la telecamera ed il suo Armin, che non possono girare alcuna sequenza del film-documentario; Simon, Karl, Walter e Gerold, che sono fuggiti dal portaledge a metà parete sotto l’esordio dell’uragano, ed ancora ne stanno guardando gli umori da quaggiù.
 
E quando appena provi ad uscire timidamente dal guscio, perché ti sembra una tregua, un cessate il fuoco, subito ti martella il cappuccio della giacca e ti costringe a battere in ritirata. Ma la sete, non certo d’acqua, di curiosità e di arrampicata è almeno forte quanto l’ostilità meteorologica; così, per arrivare più avanti nella conoscenza e, se possibile, nella vittoria alpinistica, ci dividiamo questi ultimi giorni.
 
Sotto un diluvio disperato e tenace, Walter e Karl, insieme a due monaci che accettano di accompagnarli, coinvolti dalla medesima curiosità, si proiettano verso l’ignoto di una traversata delle valli laterali, per ritornare al Campo Base dal versante opposto. La loro forza attuale è data da due misere foto satellitari ed un enorme cuore.
 
Ad una giornata di intervallo, Gerold e Simon ripartono ancora alla volta del Shashung, ove hanno lasciato tutto, corde, portaledge, staffe, e volontà da vendere. L’obietttivo è “die Unvollendete”, l’Incompiuta, la grande via di misto in senso più ampio: libera, artificiale, granito, neve, ghiaccio, placche, fessure e bivacco sospeso in parete sulla Est del Shashung.
 
La traversata di una parte del massiccio da parte delle due temerarie “marmotte” ha termine al Campo Base la sera del terzo giorno, dopo bufere e maltempo continui, gli inaspettati incontri con nomadi e yak al seguito, foreste tropicali, ed una probabile frattura di una costa del trattore Karl, tradito da una gomma bagnata e caduto nel fiume durante un guado.
 
Infine i due monaci, che scoperta l’intenzione di valicare un passo innevato, abbandonano i nostri con gesti che si tradurrebbero in questo linguaggio parlato: “Noi là??, siete matti: chi va lassù muore, e se voi andrete, morirete!”. Nonostante il “buon augurio”, fradici ancora una volta dentro e fuori, Karl e Walter tornano al Campo Base regalandoci immagini, dettagli fotografici, impressioni e stanchezze irripetibili della Valle di Zonag, del passo innominato a 5160 metri, e delle sorgenti termali calde nascoste nella valle.
 
Da questo momento, il nostro capospedizione diviene Sir Charles Underchurch (!), come i migliori esploratori anglosassoni di qualche tempo addietro. La notizia della riuscita si sparge rapidamente tra i monaci del monastero ad opera dei fuggiaschi, rientrati bagnati ma incolumi dalla Valle Assassina: tutti vengono a complimentarsi con grandi sorrisi, pollice in alto, e visibile soddisfazione per l’avventura.
 
Intanto il gemello del monsone continua a flagellare tutta l’area con una violenza inaudita. Sull’altro fronte della battaglia, infatti, Simon e Gerold lottano furiosamente con la difficoltà estreme della parete e della via, aggiunte alle stoccate continue che gli Dei della Valle tirano di fioretto e di sciabola sulla cordata.
 
Tre giorni e mezzo di combattimento, ma, nonostante Karl e Walter giungano in rinforzo e quest’ultimo sgobbi come Sisifo su e giù per le corde fisse, rimane tutto inutile: il coraggio era tutto nostro, ma contro questa imitazione cinese di monsone, un po’ volgare in verità, non c’è stato niente da fare.
 
La rinuncia per la sicurezza è parola d’ordine per tutti, e così, il giorno prima di partire dal Campo Base, siamo tutti di nuovo a godere l’ultima sera nel mezzo della Valle delle Meraviglie. Per questo momento unico, la luna e le stelle tornano a rivestire le nostre teste e persino il Genyen sembra volerci donare gli ultimi segreti.
 
Rimane la prima salita assoluta sul versante Nord di questa montagna divina, una grande via in perfetto stile alpino e che meritatamente si chiamerà “Il mistero del Genyen”. Ce ne andremo, ma non è un addio, lo pensiamo tutti: troppe le incognite che ci sono rimaste nel cuore e nei piedi, per poterci convincere a non ritornare, per colpa di qualche goccia di troppo, che ha reso il Campo Base una palude a rischio di alluvione, da parte del fiume nel quale abbiamo anche fatto il bagno.
 
Tante le manifestazioni di affetto dei monaci, giovani, anziani, e dei bambini orfani dei quali si prendono cura, mentre prepariamo la nostra partenza: un buon motivo in più per non dimenticarci questa Valle.
Personalmente, ricordo momenti di irrefrenabili lacrime sotto l’enorme trono del K2, legati a indissolubili nodi con la Montagna delle Montagne; tuttavia, rimango a bocca aperta e quasi istupidito nel vedere la Natura di questa Valle accendere una miccia altrettanto commovente: rododendri giganti che affrescano le pareti, uccelli dai mille canti all’alba, lepri che corrono nel Campo Base, e camosci tra le placche di granito. Veniamo in ogni momento trapassati dalle sole schegge di un’esplosione della quale non avremo tempo di vedere, ne siamo certi, gli effetti più stupefacenti.
 
Ora è veramente tempo di rientrare, ognuno custodendo dentro di sé una parte dei segreti del Genyen e della Valle delle Meraviglie; ci attende un lungo e faticoso rientro, ma ognuno di noi sarà da oggi più ricco, camminando le proprie strade, per quel brivido che gli attraverserà la schiena, quando con gli occhi ed il cuore ritornerà ad uno dei fazzoletti di mondo più esclusivi che mai avremmo potuto immaginarci di scoprire.
 
Arrivederci, Valle delle Meraviglie, speriamo a presto…".
TASHI-DELEK.
 
Leonardo Pagani
 
 


– Monaci fuori dal monastero


– Riprese


– Verso il Shashung
 
– Con i monaci nella foresta 

-La via incompiuta sul Shashung


– Sulla parete del Shashung


– Sulla parete del Shashung

– Sulla parete del Shashung

– Karl Unterkircher studia la via

– Campo 1 al Shashung

– Esplorazioni

– In tenda


– Uno sguardo alle foto nel computer


– Smantellamento del campo base


– il Shashung visto dal base

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