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Mauro Corona: “Questa è una grande lezione poi, tornerà l’uomo di prima”

Mauro Corona ci risponde cordiale, come sempre, dalla sua casa di Erto. Lo scultore e scrittore friulano vive tra le montagne reduci del Vajont, dove il lockdown si fa sentire ma con un’intensità minore rispetto a quella che può essere la sensazione per chi abita le grandi città. Il silenzio, in montagna, non fa rumore. Regala però tempo per riflettere, per rimettere insieme i pezzi e pensare al dopo, alla rinascita.

Mauro, come sta vivendo questo periodo di chiusura?

“Piuttosto cinicamente dovrei dire, con tutto il rispetto e la dolcezza che si deve avere per i morti e per la sofferenza delle persone, di non essere mai stato così bene. Lo dico con grande rispetto, soprattutto per le famiglie che hanno perso qualcuno, ma credo di aver ritrovato la mia naturalità. Quella di quando ero ragazzino e facevo il pastore tra le montagne.”

Come trascorre il suo tempo?

“Ho un sacco di tempo per leggere, per scrivere e anche per guardare la televisione. Quest’ultima però cerco di evitarla perché si sta cavalcando troppo la situazione creata dal virus.”

È cambiato qualcosa a erto, a Casso, tra le sue montagne?

“Ho scoperto che la natura è tornata a cercarci. Abbiamo sempre combattuto gli animali, adesso c’è il gallo cedrone in mezzo al paese. Il cervo che passeggia per le strade. Ho l’impressione che gli animali si parlino, che si siano detti ‘il nostro nemico, l’uomo, è in difficoltà. Andiamo a cercarli, andiamo a vedere cosa succede’.”

Cosa pensa dell’attuale situazione italiana in seguito all’emergenza Coronavirus?

“È una lezione che ci stava, se solo non ci fossero i morti. Ci ha svegliati dalla frenesia, dal cercare di apparire, di guadagnare, di esserci. C’erano risse tra i barboni per il posto letto. È una bacchettata che ci ha fatto aprire gli occhi: eravamo senza freno, senza regole, senza più un obiettivo chiaro.

Come ho scritto una decina di anni fa ne ‘La fine del mondo storto’ gli uomini non capiranno perché tutto passerà e la vita ricomincerà come prima. Non è un peccato, ma nel mentre approfittiamone per riflettere. Tutti lo stiamo facendo perché siamo di fronte a qualcosa che non ci saremmo mai aspettati di vivere: tutto sembrava andare bene, poi il virus ci ha messo in mano la miseria umana, la nostra fragilità, la nostra friabilità, la nostra inconsistenza e questo deve dirci che non dobbiamo più sprecare il tempo.”

Non solo la salute, anche l’economia sta perdendo…

“Io non vedo così estremo il disastro economico. Per qualche anno dovremo accontentarci di vedercela tra noi, di fare patta. Non dovremo più cercare un profitto, un guadagno. Vivremo senza vincitori e vinti.”

Come immagina la rinascita, il dopo?

“Penso che sarà un periodo di vita umana, di valori. Un periodo in cui faremo meno baruffe, in cui saremo meno puntigliosi. Ci accontenteremo, non servirà che un tonno si tagli con un grissino per essere buono. Sarà un periodo di grande dolcezza, un riavvicinarci alla ricerca di semplicità e naturalità.

Immagino uno spendere tra noi, al negozietto di paese per tenerlo in vita. Vacanze in luoghi vicini a casa per scoprire realtà sconosciute. Quando poi tutto sarà terminato la gente tornerà alle vecchie cose, perché ormai sono parte del DNA di ognuno. Tornerà l’uomo di prima.”

Può essere questa un’occasione per dare nuova vita alle montagne dove, come dice spesso, “non nevica firmato”?

“Assolutamente, la montagna riprenderà i suoi valori di condivisione. Sarà una montagna nuova e allo stesso tempo antica.

Quando la gente non aveva più voglia di fare nulla si appendeva allo skilift, andava in Val Zemola con la macchina, guai a camminare. Ora in molti vorrebbero camminare qui, fare due passi, godere di quella naturalezza che ci è stata vietata.”

Quindi prospetta un ritorno all’essenzialità…

“Vivere è come scolpire, l’ho sempre detto. Togliere per poter apprezzare, siamo arrivati a questo. Togli la libertà di uscire di casa e quando a Milano superi la soglia delle mura domestiche provi una gioia nuova e sconosciuta. Devi privare per apprezzare. Ecco cosa insegna questa bruttissima faccenda, apprezzi quello che prima avevi sotto mano e di cui manco ti accorgevi. Eravamo troppo pasciuti di tutto, troppo frenetici. Oggi il regalo più grande non è poter avere la barca a Montecarlo, ma potersi affacciare alla finestra di casa.”

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