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Coronavirus: non sarà un mondo nuovo, ma forse un modo nuovo di stare al mondo

Il 7 marzo le montagne ancora innevate della bergamasca erano state invase, a dirmelo al telefono fu mia figlia. Il mio commento fu sarcastico pensando che essendo stata annunciata la chiusura anticipata della stagione sciistica delle grandi stazioni in Valle d’Aosta e Alto Adige, causa pandemia covid-19, i fanatici dell’impianto da sci, nonostante le raccomandazioni sanitarie e gli allarmi sempre più drammatici, si fossero precipitati in montagna, tutti, per l’ultima sciata. A costo di farla al Pora o a Colere, fuori dalla porta di casa. Meglio così che niente, avranno pensato.

Non è che a livello internazionale e VIP le cose siano andate in maniera più intelligente e sensata: la rinomata località del Tirolo Ischgl, nota per lo sci e i grandi eventi come i concerti con artisti del calibro Robbie Williams, solo il 12 marzo ha chiuso gli impianti e i locali nonostante la presenza di casi positivi. Così è diventata un focolaio e tanti vacanzieri norvegesi, svedesi, tedeschi, danesi che hanno portato il virus nei loro Paesi, come scrive il Der Spiegel. Non male per i “rigorosi” austriaci.

In questi giorni il Corriere della Sera titola: “Gli impianti sotto accusa. Quei weekend sulle montagne piene di sciatori. ‘Un grande errore non fermare tutto’”. Con dolore viene in mente l’adagio: “Del senno di poi son piene le tombe”, e le tombe si son riempite a migliaia in bergamasca e non solo. Ed è drammaticamente buffa l’affermazione che “mentre le città scoprivano la paura del contagio, valli e vette apparivano rifugi sicuri”.

Ma come? Non era chiaro a tutti che si trattava di un contagio tra persone che si respiravano addosso? Le televisioni ci bombardavano di informazioni. Non ci si doveva ammassare e si dovevano mantenere le distanze. A Bergamo nelle vie del centro per piacere di chiacchiera, in fabbrica per necessità di reddito, nei centri commerciali (inquietanti) dove costantemente si ammassano miglia di umani vocianti, mangianti e starnutenti. Invece, i fenomeni dello sci da impianto hanno pensato che ammassarsi con il fiatone che diffonde le “nostre goccioline di saliva, dopo una bella discesa, accalcati per riprender l’impianto di risalita non presentava rischi perché la montagna è bella e fa bene”.

È un’idiozia che fa male, che fa pensare che la saggezza dei montanari -che storicamente si isolarono nelle valli per sfuggire e proteggersi dalle epidemie e dalle guerre – se n’è andata in malora. I montanari non sono riusciti, ammesso che ci abbiano provato, a “contagiare” col buon senso, la preveggente prudenza, l’istinto del pericolo, la lentezza del tempo e dell’andare i cittadini che sempre più numerosi vanno per le terre alte. Sono loro, le masse vocianti -che ritengono che i valori prevalenti siano quelli custoditi nei loro portafogli – che hanno colonizzato le montagne con la loro “fast mountain”. Che è pure bella e utile nei modi e tempi dovuti e se rispettosi della natura e della cultura della montagna, ma becera e distruggente quando s’arroga il diritto di padronanza su tutto e tutti. Se poi lo fa in nome della libertà individuale è pure falsa e ipocrita.

Ma sarà ancora una volta la montagna a salvare molti di noi, montanari o cittadini. Sì, lo penso. Dovremo magari cercare sentieri e valli poco frequentate, creste vuote, ghiacciai remoti. Dovremo godere di più del piacere della solitudine o quantomeno della rarefazione sociale, evitando i grumi inutili di umanità.

Forse chi governa i territori e i processi evolutivi sociali delle montagne dovrebbe rileggere la storia della sua terra, degli uomini che c’erano prima e prendere decisioni non di conseguenza, ma anche guardando all’esperienza del passato. Le montagne sono un patrimonio dell’umanità, tutte, non solo le Dolomiti, e la cultura e tradizione degli uomini che s’è plasmata sulle montagne è patrimonio di ognuno di noi. Usiamolo questo patrimonio, con intelligenza e oculatezza. Ma anche con la forza della responsabilità e delle decisioni individuali. Imprecare ora, scaricando il barile sugli altri, che comunque di colpe ne hanno di sicuro, è poco montanaro.

Spero che a maggio le valli alpine si aprano e che ognuno di noi possa di nuovo pensare di salire: facciamolo con attenzione e rispetto. Spero inoltre che i montanari, che sono tanti e laboriosi e che di turismo vivono e prosperano, possano trovare forme diverse, forse nuove, più sostenibili e anche responsabili nel fornire servizi di qualità ai loro ospiti.

Non sarà un mondo nuovo, ma forse un modo nuovo di stare al mondo. Per piacere e necessità.

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