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Abruzzo, le strade chiuse che uccidono i rifugi

In mezzo al Gran Sasso c’è un eroe suo malgrado. Si chiama Dino Montefusco, vive a Francavilla al Mare, sulla costa dell’Adriatico. Da qualche anno ha scelto di gestire un rifugio, un mestiere che altrove, dentro e fuori dalle aree protette, viene incentivato e aiutato. Ma che in Abruzzo, da qualche tempo, viene boicottato in tutti i modi. 

Dino Montefusco gestisce il rifugio di Lago Racollo a Campo Imperatore, uno dei luoghi più noti dell’Appennino. Siamo a 1580 metri di quota, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, dove i punti di appoggio per gli escursionisti sono sempre stati pochi. Verso il Lago Racollo e il rifugio, in estate, convergono tre strade asfaltate. Dalla primavera all’autunno, Dino e i suoi familiari lavorano senza problemi. Dal rifugio, dei sentieri e dei percorsi al confine tra escursionismo e alpinismo conducono ai monti Prena, Bolza e Infornace, e alle rovine dell’abbazia benedettina di Santa Maria di Paganica. Spostandosi per un quarto d’ora in auto si arriva a Fonte Vetica, base per il Monte Camicia, o all’albergo di Campo Imperatore da cui iniziano decine di itinerari famosi. Farà tappa al rifugio Lago Racollo il nuovo Sentiero Italia CAI. 

D’inverno, Campo Imperatore è un terreno di gioco ideale per chi pratica l’escursionismo con le ciaspole, il fondo escursionismo e lo scialpinismo. Sulla piana, per anni, il Comune di Castel del Monte ha battuto degli anelli per il fondo.  

D’inverno la strada che sale a Campo Imperatore da Assergi e lo attraversa fino a Fonte Vetica non è mai stata spazzata, perché nella Fossa di Paganica il tracciato scompare spesso sotto a metri di neve. Le strade da Castel del Monte alla Vetica e da Santo Stefano di Sessanio al Racollo, tranne che in caso di nevicate eccezionali, sono sempre state pulite dai mezzi della Provincia dell’Aquila.  

A cambiare la situazione sono state due cose. La catastrofe di Rigopiano, di cui ricorre il terzo anniversario, ha diffuso tra gli amministratori pubblici un autentico terrore del Gran Sasso innevato, e li ha convinti a chiudere indiscriminatamente le strade. La parziale abolizione delle Province, uno dei grandi pasticci dell’Italia moderna, ha tolto fondi alla manutenzione di decine di tracciati. 

Oggi la strada per il Lago Racollo è sbarrata a poca distanza dal paese, a otto chilometri dal rifugio. L’innevamento, quando c’è, inizia molto più avanti, e una sbarra a un’ora a piedi dal rifugio consentirebbe a Montefusco di lavorare. Nessuno, però, si è mai detto disponibile a spostarla. 

Ci sono state manifestazioni pubbliche, e incontri con la Provincia e con il sindaco di Santo Stefano di Sessanio. Il Parco, che dovrebbe tutelare il diritto di godere dei suoi magnifici paesaggi, si comporta come se la vicenda delle strade non fosse affar suo. Invece il presidente Tommaso Navarra e il direttore Alfonso Calzolaio dovrebbero essere i primi a difendere i diritti dei loro visitatori e degli operatori di turismo ambientale. 

Nel weekend dell’11 e 12 gennaio, Dino Montefusco ha deciso di aprire comunque. “Ho spiegato sui social che ci volevano due ore a piedi, qualche decina di escursionisti è venuta a trovarmi. Intorno al rifugio il paesaggio è primaverile, sulla strada non c’è assolutamente neve. La mia è stata una testimonianza, una protesta non violenta”.

Un episodio di un mese fa sottolinea quanto la chiusura indiscriminata sia assurda. L’11 dicembre, per consentire a una troupe di girare uno spot pubblicitario, la strada di Campo Imperatore è stata prontamente aperta dai mezzi della Provincia (o ex-Provincia) dell’Aquila. Ma se pulire è possibile, perché non lo si fa anche per gli escursionisti, e per consentire a Dino Montefusco e ad altri imprenditori di lavorare?          

La forza economica dell’azienda che ha prodotto lo spot ha sbriciolato la politica e l’ha piegata fino al servilismo. Un Nuovo Dominio Provinciale si abbatte sulle popolazioni delle montagne, prive di potere economico e politico.” commenta Stefano Cardelli, imprenditore turistico, tra gli animatori delle proteste degli anni scorsi. 

Sulla Majella, il secondo massiccio dell’Appennino, la chiusura di un’altra strada rischia di uccidere un altro dei pochi rifugi d’Abruzzo. Il Pomilio, 1890 metri di quota, sorge sul crinale della Majelletta, all’inizio dei lunghi sentieri verso il Monte Amaro e le altre cime. D’inverno, nella zona, funzionano skilift e piste da sci, per le quali la Regione Abruzzo ha stanziato da poco 30 milioni di euro. Pochi anni fa il CAI di Chieti, proprietario del rifugio, lo ha ristrutturato con un investimento importante. Da qualche settimana, senza interpellare nessuno, la Provincia di Chieti ne ha invece decretato la morte. 

Per anni la strada che sale al rifugio è stata gestita dal Parco Nazionale della Majella. Dal 1 gennaio il tracciato è passato alla Provincia di Chieti, che lo ha immediatamente sbarrato con dei blocchi di cemento” spiega Roberto D’Emilio, che gestisce il rifugio insieme al figlio Francesco. All’inizio non c’era nemmeno lo spazio per far passare i mezzi di soccorso, poi uno dei blocchi di cemento è stato tolto. Ma accanto al rifugio non ci sono sorgenti, e la cisterna che ci rifornisce d’acqua da lì non passa. Per ora siamo aperti, ma fino a quando?”. 

D’inverno, al contrario che al Lago Racollo, la chiusura della strada alle auto private potrebbe avere un senso. La salita a piedi dal posteggio al rifugio, lungo la strada o per un viottolo battuto, richiede meno di un’ora, e il Pomilio lavora sia a pranzo sia la sera. D’inverno i clienti possono arrivare a piedi, ma noi dobbiamo poter utilizzare la strada” aggiunge Francesco D’Emilio. “Abbiamo comprato una motoslitta con rimorchio, per trasportare i clienti e i carichi. Ma nessuno ci ha dato un permesso, e quando saliamo al rifugio per lavorare siamo abusivi anche noi. I Carabinieri mi hanno invitato più di una volta a non salire, ma non mi hanno mai fatto un verbale. Si può andare avanti così?”. 

Sabato scorso a Fara San Martino, in un convegno dedicato alla chiusura del sentiero che attraversa le Gole, l’assessore regionale al turismo Mauro Febbo, ex-presidente della Provincia di Chieti, ha annunciato il suo impegno per far riaprire la strada della Majelletta. Ma i tempi della burocrazia sono lunghi, e il rifugio Pomilio, senza strada di appoggio e senz’acqua, rischia di chiudere in tempi brevi. Nella prossima estate, lo sbarramento della strada un’ora di cammino più in basso allontanerà gli escursionisti dai sentieri più amati del massiccio. Provincia e Regione, senza una vera opposizione del Parco, sembrano voler chiudere la Majella e buttare via la chiave.

L’Abruzzo, come scrivevamo tre anni fa, sembra ancora governato dalle spiagge. Accanto alle sbarre che uccidono i rifugi Lago Racollo e Pomilio manca soltanto un cartello con scritto “andate in Trentino!”.            

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