Cronaca

Rigopiano: rinvio a giudizio per 25 indagati, ma poco è cambiato – di Stefano Ardito

Sull’Abruzzo alla vigilia delle elezioni regionali piomba ancora una volta la tragedia di Rigopiano. Mercoledì 6 febbraio Massimiliano Serpi, Procuratore capo di Pescara, ha firmato con il sostituto Andrea Papalia 25 richieste di rinvio a giudizio per la strage del 18 gennaio 2017, che è costata la vita a 29 tra ospiti e dipendenti dell’albergo sul versante pescarese del Gran Sasso. 

Il nome più noto dell’elenco è quello di Francesco Provolo, ex-Prefetto di Pescara che è stato trasferito ad altro incarico dopo la tragedia. Con lui sono Antonio Di Marco, ex-presidente della Provincia di Pescara, il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, i suoi predecessori Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico e un lungo elenco di funzionari e tecnici. 

Dopo le indagini condotte dai Carabinieri Forestali e dalla Squadra Mobile di Pescara, e dopo decine di interrogatori in Procura, la parola spetta al GUP. Il Giudice dell’Udienza Preliminare dovrà decidere se accogliere le richieste di Serpi e Papalia, e mandare i 25 imputati a giudizio. 

Oltre ai cinque nomi già citati, l’elenco include Enrico Colangeli, tecnico del Comune di Farindola; Bruno Di Tommaso legale responsabile della Gran Sasso Resort & Spa proprietaria dell’Hotel Rigopiano; i suoi consulenti Giuseppe Gatto e Andrea Marrone; Marco Paolo Del Rosso che chiese l’autorizzazione a costruire l’albergo. 

Tra i funzionari della Regione Abruzzo sono stati rinviati a giudizio Carlo Visca, ex-direttore del Dipartimento di Protezione Civile; Vincenzo Antenucci, ex-coordinatore del Comitato Regionale Neve e Valanghe; i dirigenti Pierluigi Caputi (Lavori Pubblici) e Carlo Giovani (Protezione Civile); il geologo Luciano Sbaraglia; Antonio Sorgi, dirigente del settore Parchi Territorio Ambiente; Emidio Rocco Primavera, direttore del Dipartimento opere pubbliche e Sabatino Belmaggio, responsabile fino al 2016 del Servizio Valanghe.

Completano la lista Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, del Servizio Viabilità della Provincia di Pescara; Leonardo Bianco e Ida De Cesaris, ex-capo di gabinetto e dirigente della Prefettura di Pescara; il comandante della Polizia provinciale Giulio Honorati; Tino Chiappino, tecnico della Provincia reperibile quel giorno. 

L’elenco dei capi d’accusa, pesantissimo, include omicidio colposo, lesioni colpose, abuso d’ufficio, falso, morte e lesioni come conseguenza di altro delitto, abuso edilizio e omissione di cautele antiinfortuni. 

E conferma, a 750 giorni dalla tragedia di Rigopiano, che a essere sotto accusa, insieme agli errori e alle omissioni di funzionari, amministratori pubblici e imprenditori è l’intero sistema di gestione della montagna abruzzese. 

Accanto agli errori compiuti prima e dopo l’evento dal Comune, dalla Provincia, dalla Regione e della Prefettura, la Procura di Pescara, rinviando a giudizio 25 persone, contesta a tutti gli enti citati dei seri e prolungati errori nella gestione del territorio montano.

Tra questi sono l’autorizzazione a costruire l’albergo in una zona dove il pericolo di valanghe era provato, la mancata realizzazione della Carta Regionale delle Valanghe, prevista da una legge del 1992. E l’insufficienza dei mezzi per lo sgombero della neve, in una delle Regioni italiane dove le precipitazioni nevose sono più abbondanti.    

Citarsi non è mai elegante, ma ogni tanto va fatto. Quando, pochi giorni dopo la valanga di Rigopiano, abbiamo definito su questo sito l’Abruzzo come una regione di montagne governata dalla spiaggia cercavamo un paradosso ma non eravamo lontani dal vero.  

Nei due anni trascorsi dalla tragedia, la politica in materia di montagna dell’Abruzzo non sembra avere fatto grandi passi in avanti. Molte strade di montagna vengono ancora chiuse “a casaccio”, senza tener conto se il pericolo di valanghe esiste o meno. 

Decine di Comuni di montagna (tra loro L’Aquila, Ovindoli, Caramanico Terme e Roccaraso) continuano a vietare tutte le attività fuoripista dopo ogni nevicata abbondante. Gli interventi per la prevenzione, inclusi i contestati Obellx dei Prati di Tivo, non sono stati realizzati. 

C’è una buona notizia, però, e riguarda la Carta Regionale delle Valanghe. Nel novembre del 2017, l’incarico per realizzarla è stato assegnato a Roberto Nevini, geologo e nivologo dell’Università di Siena, che si è subito messo al lavoro. 

Per mappare le zone a rischio del Gran Sasso, della Majella e degli altri massicci abruzzesi, il professore toscano ha a disposizione 36 mesi. Prima che i sindaci e i responsabili delle stazioni sciistiche possano utilizzare la Carta dovranno passare altri due anni. Ma è meglio tardi che mai. 

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