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L’Abruzzo delle valli vietate

 

I divieti sono comparsi a febbraio, accanto alla chiesa della Madonna della Lanna. Il Comune di Villavallelonga, con una delibera firmata dal sindaco Leonardo Lippa, ha chiuso ai non residenti la strada di 4,5 chilometri che conduce ai Prati d’Angro e alla Fonte dell’Aceretta, da cui iniziano vari sentieri. Scopo del provvedimento è “favorire l’esercizio dell’uso civico da parte dei residenti”.  

E’ bene precisare un po’ di cose. Primo, Villavallelonga fa parte del Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise. Secondo, i Prati d’Angro, 1150 metri, non sono un’area wilderness. Terzo, la strada, tre anni fa, è stata in buona parte asfaltata, e non è quindi piacevole per chi cammina. 

Nel novembre del 2018, Villavallelonga è diventata tristemente famosa per la morte di un’orsa e dei suoi due cuccioli, annegati in una vasca in cemento dalle pareti verticali, costruita per l’abbeverata del bestiame e mai messa in sicurezza. Otto anni prima, il manufatto aveva ucciso altri due orsi. 
Ad agosto la vasca-killer è stata riempita. Ma impressiona scoprire che, mentre in Italia e nel mondo si temeva che in quel cemento morissero altri animali protetti, il sindaco Lippa si preoccupava di chiudere la sua valle ai forestieri. 

E’ difficile capire come la presenza degli escursionisti nei weekend possa turbare il godimento degli usi civici da parte della gente del posto. Se un forestiero dovesse ripartire con un carico di legna abusivo, multarlo non sembra difficile.

La chiusura della strada dei Prati d’Angro (asfaltata e percorsa in auto dai residenti) equivale a cacciare gli escursionisti dalla valle. Così facendo, il Comune ha dato un colpo durissimo ai bar, alle trattorie e agli agriturismi di Villavallelonga e della vicina Collelongo. 

Velino

Di fronte alla Vallelonga, dall’altra parte del Fucino, si alza il Velino, 2487 metri, la terza cima d’Abruzzo per quota. Aspro, ripido, roccioso, offre degli itinerari faticosi, per escursionisti e alpinisti allenati e amanti della wilderness. 

Dal 1987 tutela il massiccio una Riserva Naturale di Stato di 3500 ettari, gestita prima dal Corpo Forestale dello Stato, e oggi dai Carabinieri Forestali, che ha fatto cose positive, come le reintroduzioni dell’avvoltoio grifone e del cervo. Ora si pensa al camoscio.  

Il 17 ottobre la Riserva ha diffuso un nuovo regolamento di fruizione, firmato dal tenente colonnello Bruno Petriccione e controfirmato dai sindaci dei Comuni interessati, Mariangela Amiconi per Magliano de’ Marsi e Nazzareno Lucci per Massa d’Albe. 

Il documento inizia con toni idilliaci, citando il fascino di “osservare e sentire il profumo delle piante”. E si conclude con un elenco di pene durissime (multe fino a 100.000 euro, reclusione fino a 32 mesi…) per gli autori di gravi scempi ambientali. Personaggi, ci sembra, che hanno ben poco a che fare con i visitatori normali.
Nel testo compaiono norme esagerate o sbagliate, come il divieto di mountain-bike anche sulle strade sterrate, il divieto alle manifestazioni sportive, e l’obbligo per gruppi di oltre 5 persone di inviare l’elenco dei partecipanti alla Riserva una settimana prima. Ciliegina sulla torta, la chiusura “per motivi di sicurezza” anche a ottobre, il mese più bello dell’escursionismo appenninico, della Val di Teve e dei suoi magnifici boschi 

Le reazioni

La montagna va rispettata e tutelata, non vietata” protesta Francesco Mancini, coordinatore del Club 2000m. “Queste norme impediscono al CAI di funzionare e a guide e accompagnatori di lavorare. Così viene chiuso il Cammino dei Briganti” aggiunge Fabio Antifora, componente del direttivo del CAI Avezzano e accompagnatore di media montagna.   

Giovedì 21 novembre alle 17, nel Centro-visite di Magliano de’ Marsi, è previsto un incontro tra Carabinieri Forestali, amministratori e cittadini sul nuovo regolamento. Il CAI e il Gruppo Escursionisti Velino criticheranno le nuove norme. 

Altre associazioni hanno comunicato il loro assenso, e questo è certamente legittimo. Sorprende, però, che tra queste sia il Touring Club Italiano, che ha inventato il turismo in bici e le escursioni di gruppo in Italia. 

Fara San Martino

Il tour nelle valli vietate d’Abruzzo prosegue a Fara San Martino, ai piedi della Majella. Qui il divieto ha una motivazione tragica, la morte di un’escursionista il 22 giugno scorso, per la caduta di una pietra nel Vallone di Santo Spirito, che sale dal paese al Monte Amaro. 

Dopo un’altra frana, il 13 luglio, la chiusura della gola che dà accesso alla valle è diventata a tempo indefinito. Più volte, sono stati multati dai Carabinieri Forestali escursionisti arrivati all’uscita del Vallone dall’alto, dopo lunghissime traversate.  

La presenza di un rischio conclamato ci impone di agire per la sicurezza pubblica” spiega Carlo De Vitis, sindaco di Fara San Martino. “Sulla parete del Vallone c’è una vasta zona instabile, abbiamo un progetto per mettere tutto in sicurezza, al costo di 240.000 euro. Ci è stato assicurato che arriveranno entro l’anno, con la Finanziaria regionale”. 

Il Vallone di Santo Spirito, con le sue pareti altissime, non può essere messo in sicurezza al 100%” ribatte Antonio Tavani, ex-sindaco di Fara e albergatore. “Ci vogliono interventi limitati e meno costosi, con chiusure temporanee e disgaggi. E’ successo nel 2012, quando non ero più sindaco, dopo una frana peggiore di quella attuale”. 

Quanto ai 240.000 euro, Tavani esibisce una nota inviata il 13 agosto al sindaco di Fara dal Dipartimento Difesa Idraulica e Idrogeologica della Regione Abruzzo. Secondo l’ingegner Carlo Giovani, che la firma, l’intervento non può rientrare in uno dei due capitoli di spesa previsti. Per l’altro, le risorse sono “estremamente esigue”. 

Qui la chiusura delle Gole, insieme a quella della Grotta del Cavallone, ha ucciso il turismo. Non lavorano gli accompagnatori, chiudono i bed & breakfast, i bar e le pizzerie patiscono” conclude l’ex-sindaco.  Ci auguriamo che la Regione trovi i fondi, ma la situazione non sembra rosea.  

Alcune considerazioni

Per concludere, qualche considerazione di buon senso. C’è davvero bisogno di chiusure con motivazioni ambientali in una regione dove il lupo e il camoscio sono stati salvati da tempo, e dove l’unica specie a rischio, l’orso marsicano, muore sulle strade e nei manufatti-killer e non certo per colpa degli escursionisti? 

Quanto al rischio che in montagna cadano delle pietre, l’unica certezza è che questo avverrà sempre. Gli escursionisti devono essere avvisati, ed esortati ad affrettarsi e a usare il casco. L’unico modo per avere la sicurezza assoluta, però, è chiudere ogni parete e ogni sentiero. 

L’ultima considerazione è desolante. Trent’anni fa, con il blocco delle nuove stazioni invernali, sembrava che l’Abruzzo avesse imboccato una strada diversa. Oggi, a un quarto di secolo dalla nascita dei Parchi, gli escursionisti non sono visti come una risorsa per il territorio dai Comuni e da chi gestisce le aree protette. Vengono considerati scocciatori, e in qualche caso dei potenziali nemici. Che tristezza.

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