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Il comico Giovanni Storti: correndo in montagna ho imparato a gestire gli imprevisti

“Adesso turnica e metti il piede sinistro qua” recitava negli anni Novanta un giovane Giovanni Storti. “Arrotati e vieni giù” consigliava ancora ad Aldo. Così, la mia memoria di bambino, ricorda il rapporto tra Giovanni e la montagna. Tutta finzione teatrale ovviamente, fa scompisciare ancora oggi dalle risate vedere il trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo alle prese con la scalata e poi con il campeggio per la notte. È capitato però che, con gli anni, quel surreale sketch teatrale per Giovanni si è tramutato in reale passione per le terre alte. “Ho iniziato a correre in montagna che avevo cinquant’anni” ci racconta l’attore classe 1957. La corsa è solo l’ultima passione per questo ragazzo milanese che in gioventù ha praticato ginnastica artistica avvicinandosi poi all’acrobazia teatrale. “La passione per il teatro mi portò alla scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano dove feci un provino per insegnare con l’allora maestra Marise Flach, a quei tempi una luminare del mimo francese e italiano. Alla fine dell’udienza mi disse ‘hai proprio un buon metodo’ e così iniziai a rovinare un po’ di attori con l’acrobatica” sorride Storti ricordando gli anni della scuola.

A un tratto poi si è innescata quella scintilla che l’ha portato sui sentieri con le scarpette, lasciamo però che sia lui stesso a raccontarci questa sua passione.

 

Giovanni, come nasce questa passione per la corsa in età matura?

“A quella mezz’età succedono delle cose un po’ particolari. C’è chi si compra la moto, chi la Ferrari, chi lascia la famiglia e chi fa un po’ tutto insieme. Io ho conosciuto una persona che correva e ho iniziato a correre, anche se prima la trovavo un’attività molto noiosa. Poi ho incontrato anche lo psicologo dello sport Pietro Trabucchi, che vive in Val d’Ayas, e mi ha portato in giro alla scoperta delle montagne valdostane di corsa.

Le mie prime corse le ho fatte in montagna, non in pianura com’è normale quando si inizia. Da quel primo giorno sui sentieri non mi sono più fermato correndo sempre di più, anche grazie all’incontro con Nico Valsesia e Franz Rossi, con cui ho scritto qualche libro. Oggi continuo a correre, anche se la passione si è un po’ ammorbidita.”

Cosa significa per lei, oggi sessantaduenne, correre affrontando grandi dislivelli?

“Adesso il dislivello è diminuito, è diminuito un po’ tutto. (ride)

La passione un po’ va a scemare perché si sono fatte tante cose e gli stimoli non sono più quelli di una volta, anche il fisico non è più quello di una volta. L’allenamento diminuisce e con lui anche la possibilità di fare certe cose, allora inizi a vivere la corsa in modo diverso: ti diverti ad andare in giro con gli amici, o a fare cose particolari come il Kilimangiaro. Le affronti con tutto un altro spirito, divertendoti.” 

Nel suo caso correre significa anche viaggiare, scoprire e vedere posti nuovi. Cosa cerca nel viaggio?

“Viaggiare ha una grande importanza perché ti permette di conoscere nuove realtà, nuove persone, nuovi posti. Viaggiare aiuta a capire che non si vive nello stesso modo dappertutto. Scopri che i popoli e le culture sono molto più aperti di quello che pensi. Queste credo le cose più belle del viaggiare, oltre ai paesaggi.”

Tornando alla montagna, cos’ha imparato correndo sul sentiero?

“Sicuramente ho apprezzato e scoperto la bellezza del correre in mezzo alla natura, una condizione che in città non hai. Il paesaggio cambia continuamente e scopri sempre qualcosa di nuovo.

Soprattutto ho imparato a gestire l’imprevisto, cosa di cui ho sempre avuto paura. Correndo in montagna gli imprevisti capitano, sei cosciente che non sempre tutto va liscio, e impari ad affrontarli.”

Questa caratteristiche le è stata utile nel suo lavoro?

“Non lo so, non credo. Di certo sono cambiato accettando di più gli imprevisti, la fatica. Ho capito e do molto più significato al valore della fatica, della sofferenza, senza però mai esagerare.”

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