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Le montagne incantate, la storia d’Italia un passo alla volta

Le montagne incantate, collana edita da National Geographic in collaborazione con il Club Alpino Italiano, rappresenta un viaggio tra le nostre montagne in nove volumi. Un cammino che dal Carso arriva fino al Colle di Cadibona e prosegue lungo la spina dorsale d’Italia fino alle vette siciliane e sarde inseguendo il tracciato del rinato Sentiero Italia CAI. Ad accompagnarci in questo lungo percorso la penna delle più note firme del giornalismo di montagna. Roberto Mantovani, Enrico Camanni, Stefano Ardito solo per citarne alcuni. Al loro fianco alpinisti e camminatori si raccontano (e raccontano) donando vita umana a queste montagne perché, è bene sempre ricordarlo, Alpi e Appennini non sono vette immacolate dove si incontra la wilderness incontaminata. Sono invece montagne modellate, strutturate, addolcite dall’uomo e dalla sua attività. In milioni di anni ha imparato a conviverci e a dialogare con gli elementi creando quella che oggi possiamo definire cultura montanara, un modo di vedere e ragionare che fa parte di noi e che ci rende tutti, chi più chi meno, figli delle montagne.

Ora che la collana ha raggiunto il termine dell’arco alpino e si prepara a iniziare la sua lunga discesa lungo gli Appennini ne abbiamo approfittato per fare qualche domanda al curatore Enrico Regazzoni.

 

Enrico, quali sono gli obiettivi della collana e quali contenuti si vogliono presentare e passare ai lettori?

“Non so se sia corretto parlare di ‘obiettivi’ per una collana editoriale. Credo però che il lavoro di un editore – così come l’ho appreso in cinquant’anni di altalena fra giornalismo ed editoria libraria – richieda una qualche visione del mondo. Non è del tutto un editore, a mio avviso, chi si limita a offrire al pubblico ciò che il pubblico desidera, poiché spesso il pubblico è pigro, e preferisce consolarsi con ciò che già conosce anziché affrontare lo sforzo di misurarsi con ciò che ignora. Questa premessa un po’ accademica per spiegare che non ci sono convinzioni particolari che vogliamo imporre al lettore, ma c’è invece un’ idea del mondo che cerchiamo di trasmettere, e che può essere riassunta parafrasando ciò che Nietzsche diceva della musica: ‘Senza le montagne, la vita sarebbe uno sbaglio’.”

 

Tra gli autori non solo giornalisti, ma anche alpinisti e frequentatori di valli, pareti e montagne. Un modo per raccontare una conoscenza “pratica” di questo territorio?

“È vero, ne ‘Le montagne incantate’ ci avvaliamo anche di collaboratori più ‘tecnici’, quali alpinisti famosi e grandi conoscitori delle terre alte. Questo è nel DNA della collana, che è nata da subito in collaborazione con il CAI e che dispone pertanto di un doppio registro narrativo, quello giornalistico e quello degli arrampicatori esperti. Entrambi questi registri condividono la stessa missione di fondo, che è quella di trasmettere informazioni ed emozioni sulla montagna senza mai scollegare le une dalle altre. Il passo del giornalista è più vario, curioso e trasversale: può sostare in una baita dove fanno un formaggio particolare, appostarsi per ore in attesa di scorgere un gallo cedrone, incantarsi nella rilettura di grandi imprese del passato. L’arrampicatore esperto ci parla invece di quel sesto grado in cui ebbe paura, di come la parete richieda in egual misura coraggio e umiltà, della bufera di neve che lo costrinse a tornare indietro, degli occhi di suo figlio la prima volta che lo accompagnò fino in cima. Così la nostra ambizione è quella di rivolgerci sia ai dilettanti che ai professionisti, sia agli escursionisti che agli scalatori. Il piacevole e il profondo si mescolano, insomma: ma non è proprio questo che accade nella grande letteratura?”

 

Grande spazio è dato al “Sentiero Italia CAI”, un lunghissimo itinerario a piedi che non rappresenta solo sforzo fisico ma un vero e proprio viaggio nella storia del nostro Paese. Quanta storia si incontra mettendo in fila i passi?

“Rispetto al rapporto fra Storia e Sentiero Italia CAI ho un sentimento particolare: anzi, un sentimento plurale. Da un lato sono attratto da un percorso che definirei museale e che per primo si offre a qualsiasi lettore. Si cammina lungo l’arco alpino e poi sulla dorsale appenninica come nei corridoi di una grandiosa esposizione del passato: si incontrano meravigliosi sognatori, come Comici, Cassin, Bonatti, si vedono le vette sulle quali piantarono la bandiera della loro passione; si visitano le valli cuneesi, un tempo abbandonate dai vinti e oggi sorprendente meta di nuovi insediamenti; o ancora si scoprono borghi appenninici dei quali non si sapeva nulla, poiché occultarono la loro bellezza integrandola mirabilmente con gli scenari naturali. Dall’altro lato, e forse in modo più forte, il contatto con la storia lungo il Sentiero Italia CAI è dato dalla sensazione di essere in marcia lungo camminamenti che per secoli furono percorsi da donne, uomini, vecchi e bambini che erravano per la penisola in spostamenti quotidiani, o in esodi mossi da logiche di sopravvivenza, quali il bisogno di sottrarsi alle violenze o la necessità di trovare contesti naturali più favorevoli. Ci si sente, insomma, sulle orme di popolazioni del passato, impronte solitarie o collettive che hanno lasciato sul sentiero tracce di un’umanità energica e di un’invincibile speranza. Ciò non oscura minimamente il lavoro eccezionale dell’architetto, cioè di quanti, nel CAI, si sono spesi per congiungere fra loro tali frammenti, per dare a essi dignità di un vero itinerario. Ricordo che molti anni fa, alla vigilia dell’inaugurazione del nuovo porto di Genova, domandai a Renzo Piano, che lo aveva progettato, quali fossero le logiche che lo avevano guidato nel disegnarlo. ‘Io non ho inventato nulla’, fu la sua risposta. ‘Ho solo tradotto in un disegno i percorsi che i genovesi, sul porto, hanno seguito nei secoli’.” 

 

Quali i tratti più interessanti e suggestivi di cui potremo leggere sui prossimi numeri?

“Ai primi di settembre sarà il edicola il quinto volume, che copre il tratto dal Monviso al Colle di Cadibona e conclude l’arco alpino. E di questo volume mi piace segnalare almeno tre articoli: quello sul Monviso, sulla sua storia reale e simbolica, firmato da Enrico Camanni; quello, ispiratissimo, di un grande scalatore, Alessandro Gogna, sulle Alpi Marittime; e infine quello di Bruno D’Amicis sul ritorno del gipeto fra le nostre alture, un testo che dice la verità su un rapace ingiustamente temuto e che testimonia dell’anima naturalistica che fin dall’inizio accompagna la nostra collana. Da ottobre, poi, partiranno i quattro volumi dedicati agli Appennini che ci porteranno a concludere la serie, all’inizio del prossimo anno, con l’arrivo in Gallura. Mi aspetto moltissimo, dagli Appennini: monti considerati ‘minori’ e invece spina dorsale della storia d’Italia. Voglio segnalare fin d’ora il pezzo di apertura del sesto volume, scritto da Valerio Varesi, che fa da porta d’ingresso di queste montagne un po’ trascurate: un testo emozionante perché guarda lontano, sia nel passato che nel futuro. Di lì in avanti le cime si abbassano – è vero – ma l’orizzonte si allarga.”

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