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Jerzy Kukuczka, l’umile ricordo di un mito

Poteva facilmente scadere nel banale, la serata dedicata al ricordo di Jerzy Kukuczka. Sarebbe stato facile banalizzare la vita di questo fuoriclasse scomparso 30 anni fa, nell’ottobre del 1989, sull’ancora inviolata parete Sud del Lhotse. Invece, sul palco del Trento Film Festival, tutto è andato alla perfezione. Hervé Barmasse, alla conduzione della serata, si è dimostrato all’altezza di un mito come quello di “Jurek” accompagnando il più volte compagno di cordata, Krzysztof Wielicki, e l’amore di una vita, Celina, in un racconto che è stato molto di più che una raccolta di cime. Ne ha salite tante Kukuczka, ha sclato tutti e 14 gli Ottomila, in soli otto anni. È stato il secondo a compiere quest’impresa, ma “il più grande” come ricorda Reinhold Messner, comparso a sorpresa sul palco per sfatare quella rivalità che li vedeva uno contro l’altro nella ricerca del primato di primo uomo a compiere la cavalcata dei giganti himalayani. “Un’invenzione dei media” sbotta lo scalatore altoatesino dal palco mentre sul grande schermo scorrono proprio quelle pagine di sfida, ingiallite dagli anni, che in realtà sono solo finzione giornalistica. Gliel’ha scritto anche in un telegramma Reinhold, nel 1987 gli ha mandato quelle stesse parole che ha ricordato anche durante la serata: “non sei stato il secondo, sei stato il più grande”. Nove vie nuove su montagne di Ottomila metri; Dhaulagiri, Cho Oyu, Kangchenjunga e Annapurna in invernale. Difficile trovare un altro curriculum simile in Himalaya.

“Lavoravamo un mese mentre altri sette li passavamo in montagna” ricorda divertito Wielicki. “Erano anni bellissimi”, diversi da come li ricorda lo slavista (e traduttore) Luca Calvi, che negli anni Ottanta ha vissuto direttamente quel mondo dell’Est. In quegli anni di vita difficile, di regole da seguire, Kukuczka e compagni andavano in cerca di vita. “In un mese tra le montagne si vivono molti anni. È una occupazione per uomini bramosi di vivere e di vita, noi uomini ne abbiamo troppo poca” diceva Jurek.

Nessuno va in montagna cercando la morte, ce lo ricorda Hervé dal palco e lo ricorda anche la testimonianza di Fulvio Mariani con le ultime immagini del forte polacco in azione proprio sulla Sud del Lhotse dov’è finita la sua vita a causa di una vecchia corda, usurata dal tempo, presa da qualche rigattiere di Kathmandu. Un altro evento fuori dal tempo che aiuta a rimembrare come quella dei polacchi sia stata un’epoca straordinaria per l’himalaysmo. Un periodo in cui quegli uomini avevano qualcosa da dimostrare, si erano persi l’esplorazione degli anni Cinquanta e Sessanta, ricorda Krzysztof, e volevano lasciare un loro segno. Hanno trovato la loro strada sulle più alte vette del Pianeta imprimendo per sempre i propri nomi e quello della Polonia nella storia dell’alpinismo.

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4 Commenti

  1. Messner che dice che il più grande di tutti fu Kukuczka. Stampatevelo in mente voi, detrattori di Messner, che gli rimproverare di sentirsi superiore a tutti.

    1. Lascia perdere Andrea è inutile. Sono troppo impegnati a fare il tifo senza alcuna visione della storia dell’alpinismo.

  2. ho letto il libro di Kukuczka “Il mio mondo verticale”, bellissimo, Jerzy era una persona molto umana e umile e con un bel senso dello humour.

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