Nardi-Ballard: ancora speranza sul Nanga Parbat
Il Nanga Parbat, la nona montagna del pianeta, è tornato ad occupare le cronache delle prime pagine di giornali e quotidiani. Poco più di un anno è passato dai terribili giorni in cui sulla “montagna nuda” si trovavano il polacco Tomek Mackiewicz e la francese Elisabeth Revol i quali, dopo avere raggiunto la vetta completando la via Messner Eisendle, sono stati protagonisti di una straziante discesa verso la vita conclusasi con il salvataggio di Elisabeth e l’addio a Tomek rimasto per sempre su quella montagna che tanto ha amato. In quei giorni a dare il suo contributo nei soccorsi anche l’alpinista italiano Daniele Nardi che ora, per uno strano gioco della sorte, si trova a rivestire i panni della persona da soccorrere. Daniele è infatti disperso sul Nanga Parbat, insieme al compagno di scalata Tom Ballard, da oltre una settimana. Lunghi giorni in cui si è cercato di fare il possibile per andare in aiuto agli alpinisti, la cui ultima posizione li allocava a circa 6mila metri lungo lo sperone Mummery, una grande bastionata di roccia che corre verticale al centro della parete Diamir del Nanga e che, forse, venne tentato per la prima volta nel 1895 dall’inglese Albert F. Mummery, da cui prende il nome.
Per fare il quadro di quanto accaduto in questi lunghi giorni abbiamo sentito il coordinatore delle ricerche dall’Italia, Agostino Da Polenza. Da Polenza, ex alpinista himalayano, ha esperienza trentennale nell’organizzazione e nella gestione di spedizioni alle più alte vette del Pianeta, oltre a conoscere molto bene il Pakistan e la sua burocrazia. Da Polenza conosce bene anche Nardi che, più volte, è stato parte delle sue spedizioni. L’ultima volta nel 2014 al K2, dove Daniele rivestiva il ruolo di cameramen d’alta quota per la spedizione “Sixty years later”.
Agostino, quando ci si è iniziati a preoccupare seriamente per Daniele e Tom e come si è strutturata la macchina dei soccorsi?
Di fatto l’allarme è scattato martedì 26, anche se la loro ultima comunicazione risaliva alle 16.45 (pakistane) di domenica. Inizialmente però lo staff di Daniele ha supposto si trattasse di un problema legato alla comunicazione a causa del maltempo sopraggiunto dopo il raggiungimento di campo 4, dove si trovava Nardi al momento dell’ultima telefonata.
Cosa è successo martedì?
Ho ricevuto una chiamata da Bruno (Diotallevi, responsabile dall’Italia per la spedizione, nda) che mi informava del fatto che era ormai il secondo giorno senza comunicazioni con Daniele e Tom. Saputa la cosa mi sono immediatamente mobilitato per cercare di capire cosa stesse succedendo e, nel caso, intervenire. Claudio (Nardi, fratello di Daniele, nda) e Bruno mi hanno chiesto di coordinare questo gruppo di intervento per la ricerca di Nardi e Ballard. Da lì in poi quel che era da fare l’abbiamo portato avanti comunicando attraverso un gruppo whatsapp dove, oltre ai già citati, erano inseriti Alì Saltoro (responsabile dell’agenzia di trek pakistana) e Stefania Mondini. Contestualmente è stata aperta una chat whatsapp con i parenti più stretti.
A questo punto come si è messa in moto la macchina dei soccorsi?
Come prima cosa abbiamo attivato il nostro ufficio a Islamabad contattando Riaz ul-Hassan, quindi ci siamo messi in contatto con Alì Saltoro e infine abbiamo preallertato l’ambasciata italiana in Pakistan e l’ambasciatore Stefano Pontecorvo.
Immediatamente con Saltoro si è ipotizzato un intervento con elicottero per poter portare sul posto uno o due alpinisti esperti dato che, fino a quel momento, al campo base c’erano solo due cuochi e l’ufficiale di collegamento. La scelta è ricaduta su Rahmat Ullah Baig (alpinista che ha raggiunto la vetta del K2 con la spedizione del 2014 guidata da Agostino Da Polenza, nda), su Karim Hayat e su Alì Sadpara (primo salitore invernale del Nanga Parbat insieme a Simone Moro e Alex Txikon il 26 febbraio 2016, nda). Di questi Alì, trovandosi a Skardu, era l’unico in una posizione favorevole per essere elitrasportato al campo base del Nanga.
Chi si è occupato dei permessi per far alzare l’elicottero in volo?
Tramite l’ambasciatore si è allertato l’esercito. Inoltre, va detto che in ambasciata c’è una persona molto importante quando si tratta di far decollare elicotteri: il brigadiere generale Hakram. Un anziano signore che si è anche guadagnato la cittadinanza onoraria italiana per i servigi resi all’Italia. Un personaggio molto competente e di fondamentale importanza, soprattutto nei rapporti con l’esercito pakistano.
In poco tempo eravate quindi pronti a intervenire…
Si, alle 3 del mattino (le 7.00 pakistane) di mercoledì 27 tutto è pronto. L’ambasciatore ha chiesto le autorizzazioni di volo, Saltoro ha in mano il denaro necessario per pagare l’agenzia Askari attivando così l’elicottero, i piloti sono pronti e all’eliporto di Skardu ci sono Alì Sadpara con altri due alpinisti della zona pronti a partire.
Tutto si complica quando alle 6 (le 10.00 pakistane) scatta la chiusura dello spazio aereo pakistano a causa dell’abbattimento di due aerei indiani da parte dei pakistani. C’è una scintilla di guerra tra i due Paesi e questo comporta l’immediato schieramento a terra di tutte le sue forze militari, compresi i due elicotteri che dovevano andare al Nanga Parbat.
Quale e quanto lavoro è stato necessario per ottenere il via libera al volo?
C’è stato un grande, e ben condotto, lavoro di negoziazione da parte dell’ambasciatore Pontecorvo che è riuscito a convincere il capo di stato maggiore dell’aeronautica a fornirci un corridoio da Skardu al Nanga.
Si vola…
Si, volano e fanno una prima perlustrazione ma non trovano nulla. Inizialmente c’è una grande confusione perché sulla parete Diamir si trovano un grande quantità di oggetti alpinistici sparsi. Sull’elicottero però c’è Ali Sadpara che sa bene dove guardare. Purtroppo l’unica cosa che intravede è, nei pressi di campo 3, il lembo arancione di una tenda.
È stata individuata anche una tenda sulla via Kinshofer?
Esatto, una vecchia tenda fotografata dai militari durante l’avvicinamento allo sperone Mummery.
A questo punto si pensa di intervenire via terra?
Nel frattempo ci sono due offerte, entrambe dal campo base del K2: una russa e una di Alex Txikon. I russi dicono di essere pronti a intervenire e che possono partire già il giorno dopo recuperandoli con l’elicottero. In realtà però sia le foto che arrivano dagli elicotteri che il racconto di Sadpara ci riportano una situazione abbastanza critica sulla montagna: il terreno è molto pericoloso con tracce e colatoi di valanga. I punti di ricerca che si dovrebbero andare ad individuare presentano in generale una pericolosità elevata, cosa che fa desistere il team russo.
A questo punto iniziamo a discutere con Alex Txikon per capire cosa avrebbe potuto fare, a metterci in contatto è Alessandro Filippini. Il basco spiega che sarebbe potuto intervenire grazie ai suoi tre droni ad alta potenza (ha un’autonomia di 200 ore e può volare in quota) con cui poter perlustrare in sicurezza lo sperone e, nel caso in cui avesse individuato qualcosa, organizzare una ricognizione via terra.
Ora Alex è finalmente arrivato al campo base del Nanga Parbat…
Nella giornata di domenica 3 marzo Pontecorvo ha ottenuto l’autorizzazione da parte dello Stato Maggiore dell’aeronautica al volo verso il campo base del K2, localizzato a pochi chilometri dal punto critico Conway. Per questo, per alcune ore c’è stato l’embargo sulle informazioni, in modo da non allertare l’India. Inoltre gli elicotteri han dovuto volare con volo radente alla morena glaciale fino a raggiungere le pendici della seconda montagna della terra. Qui è stato prelevato Alex Txikon con i suoi collaboratori e, con loro, un alpinista polacco in critiche condizioni di salute. Il gruppo è stato depositato a Skardu. Da Skardu, sempre domenica, i piloti hanno provato a raggiungere il campo base del Nanga Parbat ma, il peggioramento delle condizioni meteorologiche, con pesanti nevicate, ha portato i piloti a propendere per un più sicuro rientro Skardu.
Ieri sono riusciti a riprovare?
Si, nella giornata di ieri gli elicotteri si sono alzati in volo raggiungendo Jaglot dove hanno prelevato Rahmat Ullah Baig, parte della spedizione di Nardi fino a fine gennaio che quindi conosce bene la via. Da lì hanno raggiunto il Nanga Parbat depositando Rahmat al campo base mentre Alex e il suo team sono invece stati sbarcati nei pressi di campo uno dove hanno allestito un piccolo avamposto e da cui hanno iniziato le prime perlustrazioni con i droni. Prima di rilasciare gli alpinisti è stato effettuato un sorvolo con l’elicottero, ma nulla è stato individuato.
Alex e Felix Criado si sono poi mossi via terra raggiungendo campo 2, che hanno trovato sepolto da una valanga, e proseguendo per qualche centinaio di metri prima di prendere la decisione di rientrare verso il loro campo a causa dell’elevato rischio valanghe.
La vita e l’integrità di chi sta effettuando le ricerche sono prioritarie rispetto a tutto.
Con l’intervento di Alì e Alex si è ricostituita l’originaria squadra dell’inverno 2015-2016… Un modo per rimettere tutto a posto?
Per mettere tutto irrimediabilmente al suo posto. Quando la pietas umana vince è l’umanità a vincere.
Per te questa, come altre del passato, non è certamente stata un’operazione facile da gestire…
Daniele con me non ha avuto un esordio molto felice. Ci siamo incontrati per la prima volta nel 2004 all’Everest. Lui si trovava a Nord e lì c’era anche la mia spedizione affidata a Soro Dorotei, per la parte tecnica e alpinistica. Nardi in quell’occasione ne combinò qualcuna di troppo, credo di poterlo dire con certezza, è un sopravvissuto all’ira di Dorotei (ride). Qualche anno dopo poi, nel 2007, dopo il suo rientro dal K2 abbiamo avuto un altro momento molto teso. Daniele mi ha parlato molte volte di quel che è successo sulla seconda montagna della Terra, della dinamica. Così, con l’andare del tempo e il ripetersi del racconto, questa nostra tensione si è sciolta lasciandoci diventare buoni amici. Con il tempo ho capito che per lui il K2 era una piaga aperta.
Cosa hai capito di Daniele in questi 15 anni?
Daniele è un bravo alpinista nato in un posto molto bello ma, forse, sbagliato per fare gli alpinisti, soprattutto himalayani. Sbagliato da una parte, ma nemmeno troppo dall’altra perché, comunque sia, la sua gente nel Lazio, sulle sue montagne, gli ha voluto e gli vuole molto bene. È stato protetto da loro, se lo sono coccolati e l’hanno esaltato nel momento del successo. L’hanno sostenuto, anche perdonandogli qualche stupidaggine. Questa cosa probabilmente, nell’ambiente del Nord, non sarebbe successa.
Daniele parlava con te del Mummery?
Me ne ha sempre parlato, ne ha parlato con chiunque del Mummery. Ha tentato di convincermi fin dall’inizio a seguirlo in quest’idea e alla fine ci è riuscito solo in questi ultimi giorni d’inverno.
In oltre trent’anni di attività ho detto solo a due alpinisti che con quella via e con quella montagna non volevo avere nulla a che fare: a Karl Unterkircher e a Daniele.
Negli ultimi anni il Nanga Parbat è sembrata la montagna della discordia. L’Ottomila dove l’amore per l’altissima quota e per la purezza dell’ascendere sono stati messi da parte in favore di un continuo battibeccare… Nonostante questo ci sono però stati anche dei bei momenti, ti ricordi ad esempio la foto di gruppo dell’inverno 2015-2016? Daniele c’entrava qualcosa là in mezzo?
Era un gruppo talmente eterogeneo che sì, c’entrava anche lui. C’era Elisabeth Revol, l’animale più selvatico dell’alpinismo; poi c’era Tomek Mackiewicz, una specie di istrione, il “dottor stranamore” del Nanga Parbat; c’era Simone, un alieno dell’alpinismo; e Tamara, l’Heidi degli Ottomila; i polacchi tra cui Adam Bielecki, un alpinista molto bravo, molto simpatico e ultimamente poco produttivo; Alì, pakistano, figlio di un alpinismo d’altri tempi, di quell’alpinismo in cui c’è tutto il germe di un grande amore per la montagna, Sadpara è uno che ama la montagna; E poi il Basco, Alex, alpinista molto bravo, molto tecnico, molto dedito alla comunicazione, che in queste ore sta dando prove di grande generosità.
C’è ancora speranza?
Stiamo cercando di capire la dinamica di ciò che è accaduto e, con essa, l’infinitesima possibilità di sopravvivenza che oggi ne deriva. Nonostante questo c’è ancora una piccola luce accesa in fondo ad un profondo crepaccio e non smetteremo di cercare finché quel bagliore arriva a noi. È per questo che con Alex e i suoi compagni sul terreno, con le autorità pakistane e, soprattutto, con le famiglie di Nardi e Ballard continuiamo a impegnarci nel cercare Daniele e Tom.
E’ stata aperta una raccolta fondi per aiutare le famiglie a sostenere gli ingenti costi delle operazioni di soccorso per Daniele Nardi e Tom Ballard. Chi volesse donare, lo può fare al seguente link: crowdfunding
Che dichiarazioni da brividi nato in un posto sbagliato per fare alpinista. Come dire che Alberto Tomba nato in una regione non adatta per fare sci.
Non dimentichiamo che Daniele venne segato da Alex Ali e altri 2 alpinisti qualche anno fa. Gli fu’ proposto del denaro ma lui rifiutò.
..”Questa cosa probabilmente, nell’ambiente del Nord, non sarebbe successa.”
..ma scherziamo?
E’ mia opinione che, oltre che comprensibile e sacrosanta solidarietà verso un collega in difficoltà, a muovere Txikon e Sadpara sia anche un minimo di coda di paglia per le vicende del 2016. A prescindere da come siano andate veramente le cose. Poi magari mi sbaglio, però a pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.
Si, infatti!..chi è nato al nord può fare l’alpinista himalayano e tutti gli altri no?!. Ma che stupidaggine e mai questa!.
Articolo sinceramente non proprio bellissimo.
Intanto l’affermazione su Nardi che sarebbe nato nel posto sbagliato per fare l’alpinista era evitabilissima e molto discutibile. In secondo luogo il titolo dell’articolo e questo continuo alimentare false speranze è un po di cattivo gusto. Sono là da 9 giorni e non si hanno più notizie in un luogo e in condizioni assolutamente invivibili e si titola “qualche speranza”? Quali speranze? Ci sono nuovi elementi concreti che lo farebbero pensare o lo state solo scrivendo per scaramanzia?
Se e come in cuor mio mi auguro, ci sarà un qualche incredibile miracolo, lo vedremo. Nel frattempo è inutile creare false illusioni. È piu gradito che riportiate i fatti per come (purtroppo) sono oggi.
al solito, titolo demenziale, deliranti affermazioni sull’alpinista nato nel posto sbagliato , domande lasciate per aria con frasi per poi chiedere se uno stava bene nella foto…TRISTEZZA
Mi dispiace tanto per il triste epilogo, bisogna farsene una ragione oramai, Nardi é stato un buon alpinista anche se nato nel Lazio caro sig. Da Polenza, l’unico problema, l’ho scritto in un commento anni fa, é che aveva un carattere molto “vivace”, cosa che in se stessa non é deprecabile ma in situazioni estreme, (come può essere una permanenza in un campo base per tantissimi giorni in una promiscuità fisica e psichica estenuante, la stessa cosa la immagino in un sottomarino, in una navicella spaziale ecc.ecc.) ognuno deve “limare” il proprio ego per trovare una sintonia che possia aiutare a raggiungere l’obbiettivo che si é posto. Il povero Daniele non ci é mai riuscito lasciandosi sempre trasportare dal suo impeto, dalla sua irruenza naturale e genuina. A parte il discorso soldi, non soldi, corde installate o non installate, se non si fosse “segato”, come dice il sig. Sabotti, da solo, se avesse saputo controllare le sue emozioni e reazioni, il 26 febbraio 2016 sarebbe sicuramente arrivato in cima con gli altri e sicuramente oggi non saremmo qui a piangerlo. Se veramente te ne sei andato Daniele, riposa in pace.
Irruento vivace quanto vuoi ma non si può dire nato nella regione sbagliata per fare alpinismo!
forse l’intervista come spesso capita su cose delicate va un po’ decifrata. forse Da Polenza voleva dire che l’affetto della terra pontina non ha compensato la lontananza dagli interlocutori del nord, utile a smussare giocoforza l’irruenza di cui si legge tra le righe in questa intervista. è la prima volta che leggo questa faccenda, di qualche attrito sul K2 ed Everest, e la voglio approfondire.