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In edicola il nuovo numero di Meridiani Montagne dedicato a “I nuovi rifugi delle Alpi”

 

E’ in edicola in tutta Italia a partire da sabato il nuovo numero di Meridiani Montagne “I nuovi rifugi delle Alpi“. A presentarci questo numero l’editoriale del direttore scientifico Marco Albino Ferrari.

 

Che cosa si intende con l’espressione “nuovi rifugi”? Non solo la semplice edificazione ex novo di punti d’appoggio o il ripristino di vecchi edifici in alta quota divenuti obsoleti.

Per “nuovo” si intende un ripensamento più ampio su come l’uomo possa presidiare la natura in condizioni estreme: contenimento dei consumi, compatibilità ambientale, facilità di messa in opera. E, non da ultimo, è importante che il nuovo edificio salti facilmente all’occhio in caso di maltempo.

“Nuovo”, dunque, non come dato cronologico, anche perché il primo esempio di questi manufatti potremmo farlo risalire alla cabane du Vélan, edificata già nel 1993 dalle parti del Grand Combin, in Svizzera. Il più noto, in Italia, è il magnifico bivacco Gervasutti (2011), allestito in sostituzione della vecchia e gloriosa capanna in legno e lamiera sotto la Est delle Grandes Jorasses. Progetti che richiedono l’utilizzo di tecniche all’avanguardia, e che trovano nell’alta montagna un terreno di sperimentazione e di sfida.

Qualcuno storce il naso in nome della tradizione, rimpiange le vecchie costruzioni in pietra e legno, con i tetti a capanna che imitavano baite e rascard. È una nostalgia, se ci riflettiamo, che però non trova fondamento, poiché in alta montagna non esiste nessuna tradizione architettonica. Baite e rascard si fermano alle quote antropizzate, mentre rifugi alpini e bivacchi, che appartengono all’età moderna, sono sempre stati pensati senza un vincolo di continuità con la storia.

Si potrebbe dire provocatoriamente, con Luca Gibello, che è difficile vedere chi rimpiange i rifugi del passato usare sui ghiacciai alpenstock e giacche di tweed. Certo è che diventa inevitabile vigilare sull’autocompiacimento degli architetti. La montagna non può diventare una passerella per vanitosi progettisti in cerca di ribalta. La hybris fa parte dell’umano, basta riconoscerla e, quando è necessario, spernacchiarla.

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