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Agony, la storia del primo 8a molisano

Testo e foto di Pietro Radassao (pratica l’arrampicata sportiva da quando era bambino, passione che gli è stata trasmessa dal padre Carmine, e, nonostante la giovane età, è già considerato punto di riferimento per il Molise ed il Sud Italia) 

Reduce dalla mia più grande, e ahimè unica, storia d’amore, con una diciottenne bellissima che mi aveva prima esaltato e poi ridotto ad uno straccio, a 14 anni ero profondamente deluso e amareggiato. Era l’estate 2010, e, come si dice, mi sentivo un “uomo” finito. In quei giorni mi chiesi ”cosa mi resta?”, i miei sogni erano stati distrutti e non avevo più niente. Avevo bisogno di qualcosa che mi facesse sognare, che non mi facesse sentire “morto vivente”. Avevo bisogno di una forte ambizione, di pormi un obiettivo e di lottare per raggiungerlo. Fu così che in maniera del tutto spontanea ci ritrovammo soli, io e l’ arrampicata.
Sebbene scalassi fin da piccolo insieme a mio padre, erano altri gli sport su cui maggiormente contavo e nei quali svolgevo attività agonistica, così a 14 anni ero ancora intimorito dalla roccia, schiavo della paura dell’altezza e terrorizzato dal volo. Mi ritenevo un debole incapace di superare le paure che tutti gli altri, tra cui ragazzi più piccoli di me, erano riusciti a domare. Era giunto il tempo di darsi da fare ed impegnarsi seriamente nell’arrampicata. Fino a quel tempo avevo salito al massimo vie di 7a+, ma scalando con timore ed ansia dovute alla paura. Provavo da qualche mese a Colle dell’Orso un 7c senza costanza e senza essere motivato a liberarlo, solo spinto da mio padre che mi ci montava la corda. La linea si chiama Tendinella: lunga 14 metri con passo chiave posto alla fine che consiste nel prendere, incrociando, da uno svaso scivoloso migliorato artificialmente un monodito rovescio molto profondo, anch’esso scavato, con il dito medio, da appoggi di piedi davvero brutti, per poi allungarsi ad una tasca verticale molto lontana e svasata. Ricordo di ripetute su ripetute su quella via, tra l’altro chiodata abbastanza lunga (4 fittoni in tutto), per cui sempre e solo da secondo.

E’ davvero strano che tra tutti i 7c della falesia, più di 20 e tutti, a parte un paio, completamente naturali, mi sia cimentato proprio in quella via. Dopo averli fatti quasi tutti posso dire che è sicuramente un 7c tra i più difficili ed impegnativi di tutta la falesia: passo aleatorio obbligatorio, crux concentrato in due movimenti e posto alla fine, prese sguscianti. E’ altrettanto curioso il fatto che sia passato direttamente dai 7a al 7c, bruciando tutte le tappe intermedie. Forse era perchè volevo cimentarmi subito in un impresa degna di riconoscimento e la cui riuscita mostrasse tutto il mio valore a me stesso prima che agli altri. Così ad ottobre iniziai a provare Tendinella con la corda dal basso e dopo qualche tentativo arrivarono i primi voli. Iniziai a sbloccarmi e niente mi avrebbe fermato da quel momento in poi, avvertivo il cambiamento. Dopo qualche settimana i passi mi venivano tutti ormai senza eccessiva difficoltà e riuscivo a salire la via con un solo resting nel mezzo: ero consapevole di poterla liberare. Ma non andò subito tutto per il verso giusto, stavo sottovalutando il fatto che la riuscita non dipendesse solo da me. Era metà novembre quando tornai sulla linea e trovai le prese della sequenza chiave bagnate, non si sarebbero più asciugate durante quell’inverno. Verso fine anno fece tanta neve e la falesia non fu praticabile da dicembre fino a febbraio.

Debbo dire che durante questo periodo di tempo non ero nervoso a causa dell’impossibilità di provare la via dopo essere stato ad un passo dalla libera, anzi è come se mi fossi temporaneamente dimenticato del mio obiettivo. A marzo rimisi mano sulla via e dopo qualche giro per rivederla, la sentivo mia. Per la prima volta nella mia vita su di me si celava il peso della realizzazione, ero messo alle strette dalla cosiddetta ansia da prestazione. Non provavo la via se non c’erano le ”condizioni” o se non mi sentivo al top della forma, non partivo se non mi sentivo pronto mentalmente, ispezionavo continuamente il materiale e dovevo riscaldare tutto il corpo in maniera quasi ossessiva prima di fare un tentativo. Era capitato diverse volte di andare a Frosolone e a fine giornata tornare a casa senza aver provato il mio progetto.

3 marzo 2011, avevo 15 anni e si era appena concluso il mio primo tentativo della giornata su Tendinella. Lei era  particolarmente infida, non mi lasciava prevalere ed ero stato di nuovo sconfitto. Abbassai la guardia quel tanto che bastava perchè si insinuasse in me l’incertezza. Il dubbio mi fece tentennare e fallii con la catena in faccia, prima dell’ultimo movimento. Le mie urla di rabbia rimbombarono per tutta la valle. Mi tirai sulla corda e ripetei la sequenza finale questa volta arrivando in catena. Allungai la catena con due rinvii convinto di ottenere maggiore sicurezza rinviandola prima e scesi. Sembrava una giornata persa, se non fosse stato per la magnanima menzogna di mio padre sulle condizioni “ottimali” per ritentare. In realtà ero freddo, stanco fisicamente, abbattuto psicologicamente e Colle dell’Orso era immersa in una nuvola: “perfetto”!

Scalo tutta la prima parte di 7a e arrivo sotto la sezione dura più stanco del solito, ma al brutto riposo riuscii a liberare la testa da inutili incertezze e mi concentrai unicamente in quello che stavo facendo. Questa volta strinsi il monodito con il medio destro senza frenarmi nemmeno un attimo e arrivai finalmente alla zanca verticale. Dovevo solo prendere la maniglia poco sopra e rinviare la catena, ma ero indeciso sul rinviare o no i rinvii che avevo usato per allungare la sosta: ero ancora troppo spaventato, avevo paura di fallire. Così decisi di tenere la tasca verticale, chiusi tutto con il braccio sinistro e moschettai direttamente la sosta saltando i rinvii. Smontai la via e fui calato a terra da mio padre, fiero ed entusiasta di suo figlio. Io però non ero soddisfatto, era nato in me l’insoddisfabile seme dell’ambizione. Volevo già salire il primo 8a…

Dopo la salita di Tendinella, salii un altro paio di 7c prima di iniziare ad assediare quello che diventerà il primo 8a salito da un molisano, Agony. Opera di Sebastiano Labozzetta, cui si deve anche la prima salita, Agony è anche il primo 8° chiodato e liberato in terra molisana. La via si trova sul primo ”gemello”, ovvero sul Blocco A, tra Viaggio ad Avalon e Solo una Sana. Per i suoi 20 metri Agony offre una scalata elegante e tecnica che permette di godersi appieno lo splendido calcare grigio frosoloniano: non mancano buchi, fessure, tacche e svasi, sia sulla placca iniziale che sulla pancia strapiombante finale. Una delle linee più spettacolari di Colle dell’Orso.

Era il 2 agosto 2011 quando provai per la prima volta la via. Era un caldo pomeriggio estivo quando all’amico Luigi Baratta venne l’idea di fare un giro sulla via. Mi chiese se volessi provare i passaggi insieme a lui ed io, spinto dalla voglia di conoscere quale difficoltà presentasse una via di ottavo grado, accettai la sua proposta. Non osavamo tentarla dal basso, eravamo ancora troppo intimoriti dal numero 8, così decidemmo di montarla da Celtic Frost, 7c situato subito a sinistra di Viaggio ad Avalon, via che Luigi aveva già liberato e che quindi conosceva bene.

Nonostante ci muovessimo in un terreno del tutto sconosciuto, entrambi fummo capaci di fare tutti i passaggi già al primo giro, così capimmo che si trattava di una via di resistenza senza passaggi singoli troppo difficili. Infatti Agony per tutta la sua lunghezza presenta un unico mediocre punto di riposo, la vasca verticale prima dello strapiombo, ed il passo più duro è quello del boulder finale, situato proprio in cima. Provai la via insieme a Baratta circa 2 volte al giorno alternando un giorno di riposo ad un giorno di tentativi. Imparai a memoria tutti i movimenti dopo la seconda giornata sulla roccia. Ero di nuovo innamorato: Agony, attrazione fatale!

Il 10 di agosto nella mia testa iniziò a gironzolare l’idea di potercela fare a salirla in stile rotpunkt, quando caddi al passaggio chiave dopo l’ ultimo spit. Non ero ossessionato dal doverla salire, anzi è sempre stato un piacere confrontarmi con questa linea e mai uno stress. Ricordo che il 12 agosto insieme a Luigi provai la via in versione notturna, alle 21.30 con la frontale attaccata in testa. Ovviamente non sono salito con l’intenzione di liberarla e nemmeno mi aspettavo di riuscirci, lo facevo solo per divertirmi e godermi il tiro. In quell’occasione caddi più in basso del solito, al traverso dopo il riposo della vasca verticale. Il giorno seguente decisi di non riposare e feci un altro tentativo sulla via, cadendo sempre sul boulder finale. Il giorno successivo trasgredii di nuovo e decisi di riprovarla un’altra volta, ma caddi ancora nello stesso punto. Conscio del fatto che necessitavo di almeno un giorno di recupero, ritornai su Agony il 16 agosto. Fresco e riposato feci un giro sul mio tiro preferito e quando erano appena le 10 del mattino, mi ritrovai in catena. La gioia che provai era immensa. A farmi il tifo alla base della parete cerano mio padre Carmine (che mi assicurava), l’ instancabile Luigi Baratta, il compagno di mille avventure Carmine Petti e l’amico Dario D’Alessio, a tutti loro devo un enorme grazie per il supporto!

Si respirava un clima d’amicizia e positività, tutti hanno festeggiato e gioito della salita. E’ stato un giorno
fantastico: a 15 anni, eccomi, il primo molisano a liberare un 8a.

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