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Il futuro delle guide alpine: intervista a Pietro Giglio, neo presidente CONAGAI – di Stefano Ardito

Un mestiere in salute, con buone prospettive per il futuro. Che per risolvere i suoi problemi ha bisogno di un maggiore rapporto con la politica. E dove le divergenze tra i professionisti che vivono nelle valli alpine e quelli radicati nelle città devono essere superate nell’interesse di tutti. 

E’ questa, in estrema sintesi, l’immagine delle guide alpine italiane che emerge da una chiacchierata con Pietro Giglio, il professionista della montagna valdostano che è diventato pochi giorni fa presidente del CONAGAI, il Collegio Nazionale delle Guide Alpine Italiane. 

Un organismo che riunisce 1062 guide alpine, 133 aspiranti guida, 218 accompagnatori di media montagna e 52 guide vulcanologiche, divisi in quattordici Collegi regionali e delle province autonome. 

Giglio, 75 anni, è da anni presidente dell’Unione Valdostana Guide di Alta Montagna. Ha collaborato con la sede RAI regionale, e ha alle spalle una lunga attività come giornalista e scrittore. Negli anni Novanta ha diretto la Rivista della Montagna, storica testata specializzata torinese. 

Il risultato della votazione, con 15 voti a favore contro i 14 per il presidente uscente Cesare Cesa Bianchi, fa pensare a una discussione serrata. E’ un’immagine che fa bene al mondo della montagna italiana, dove spesso i problemi si affrontano dietro le quinte, e le elezioni si risolvono in plebisciti.  

La sua elezione di misura contro Cesa Bianchi ha sorpreso molti osservatori. E’ stata la rivincita delle guide valligiane contro quelle di estrazione cittadina?

Il programma su cui sono stato eletto nasce dal confronto che ho avuto con amici e colleghi della Valle d’Aosta, del Piemonte, dell’Alto Adige e del Trentino. Una realtà di montagna, che rappresenta circa la metà delle guide alpine. Ma non è una rivincita! Ci siamo divisi su delle sfumature, e ora abbiamo bisogno di condivisione e di unità. 

Una questione sulla quale vi siete divisi?

La possibilità, che ci è stata chiesta più volte dall’Unione Europea, di creare dei brevetti parziali. La guida di canyoning, la guida che fa solo arrampicata sportiva… Forse a qualche collega che vive e lavora lontano dalle Alpi potrebbe andare bene. Ma secondo noi non è giusto.   

Un punto su cui siete tutti d’accordo?

La necessità di modificare la legge che regola la professione, la numero 6 del 1989, per dare maggiore dignità agli accompagnatori di media montagna. L’idea che non possano lavorare sulla neve con le ciaspole è antistorica. 

Ma gli accompagnatori di media montagna in Valle d’Aosta non ci sono!

E’ vero, la legge regionale 7/1997 ha creato al loro posto le guide escursionistiche e naturalistiche. Per fortuna far cambiare una legge regionale valdostana è più facile che modificare una legge nazionale.

A proposito di accompagnatori, cosa pensa della “guerra” con le guide ambientali dell’AIGAE? E’ possibile trovare un’unità e un compromesso?  

In questo momento purtroppo c’è la guerra, e siamo costretti a combatterla. Mi piacerebbe fare la pace, so che molte guide ambientali lavorano con entusiasmo. Ma temo che un compromesso non sia possibile. Tra la qualità della formazione degli accompagnatori di media montagna e quella delle guide ambientali c’è un abisso. 

Per cambiare le leggi, o tentare di cambiarle, c’è bisogno di un rapporto migliore con la politica. Pensa di riuscire a migliorarlo?

Vivo in Valle d’Aosta, dove la politica è vicina alle guide e agli altri professionisti della montagna, a iniziare dai maestri di sci. A livello nazionale è molto più difficile, ma ci dobbiamo provare. Dobbiamo riuscire a creare una lobby.

La Regione Lazio e la Regione Umbria non hanno mai recepito la legge del 1989, e le guide alpine devono iscriversi ad altri collegi. Questo lascia spazio a un abusivismo pericoloso. Il CONAGAI può intervenire su questo punto?

Devono essere le guide del Lazio e dell’Umbria a decidere e a impegnarsi, se lo fanno noi le appoggeremo senz’altro. Ricordo che i Collegi Regionali delle guide non sono associazioni private ma enti pubblici, e che per farli funzionare occorrono soldi e tempo. 

Torniamo sulle Alpi. Come cambia il mestiere di guida alpina? C’è spazio per nuove guide giovani?

Qui in Valle d’Aosta, come in Piemonte e in altre regioni, la domanda di guide alpine sta crescendo. 

Quali sono le attività più richieste?

In passato le guide lavoravano soprattutto in estate. Ora, tranne un paio di mesi morti, lavorano tutto l’anno. E la stagione trainante è diventata l’inverno, con il fuoripista, lo sci ripido e lo scialpinismo. C’è bisogno di nuove guide!

Cosa frena i giovani che vorrebbero diventare guide alpine? Il costo del corso non è troppo elevato? 

Il corso per diventare guida alpina non costa troppo, se lo confrontiamo con la qualità della formazione che offre. Provi a pensare quanto costa una buona università, magari all’estero. O un corso per diventare pilota di linea, o di elicottero. 

Non pesano le disparità tra le regioni e le province autonome, che rimborsano almeno una parte della spesa, e le altre dove bisogna pagare di tasca propria?

Questo problema è esistito in passato, ma ora è quasi scomparso. L’Unione delle Guide Valdostane in passato riusciva a rimborsare la metà del costo. Ora arriviamo al 15 o al 20%. 

In che modo, allora, si può incentivare la formazione di nuove guide alpine?

Ci vogliono dei corsi propedeutici, che permettano ai giovani di arrivare più preparati ai corsi di formazione. Chiediamo da anni di organizzarli, e penso che i corsi propedeutici debbano avere un costo agevolato. 

Tutto qui?

No, la realtà è che il corso per diventare guida alpina è durissimo, ed è giusto che sia così. Per essere ammessi alla selezione bisogna essere degli alpinisti forti e completi, e presentare un curriculum. Purtroppo, non soltanto in Italia, il numero di alpinisti con queste caratteristiche diminuisce.

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