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Raganello, una tragedia annunciata – di Stefano Ardito

Chi conosce le vette e le valli del Pollino sa quella delle Gole del Raganello era una strage annunciata. Ogni estate centinaia di turisti, ogni giorno, scendono da Civita al Ponte del Diavolo, e proseguono sul sentierino che li porta al torrente. Qualcuno si ferma qui, altri proseguono per un tratto verso l’alto.

In altre zone, controllare l’accesso degli escursionisti è difficile. Per scendere da Civita al Raganello, invece, c’è un unico sentiero” spiega Francesco Bevilacqua, avvocato ed escursionista di Lamezia, autore di guide ai sentieri della Calabria. 

Nelle domeniche estive, e ad agosto, l’atmosfera nelle Gole è quella di un Aquapark. In un giorno di allerta meteo per possibili temporali, sarebbe bastato un posto di blocco del Soccorso Alpino, dei vigili urbani di Civita o del Parco per impedire l’accesso al greto” continua Bevilacqua.   

A Ferragosto sul Raganello c’erano 650 persone, un’ondata di piena avrebbe causato un’ecatombe” ribadisce Emanuele Pisarra, guida ufficiale del Parco e residente di Civita, autore di una delle prime guide ai sentieri del Pollino. 

Nello scorso aprile, sul suo blog, Pisarra aveva affermato che “il canyon del Raganello ha bisogno di un regolamento”. E che i provvedimenti più importanti sarebbero il numero chiuso, l’obbligo di farsi accompagnare da una guida, e un periodo di chiusura assoluta dall’autunno alla primavera.   

Sono scomparsi tantissimi uccelli e non ci sono più pesci” scriveva Pisarra. “Lo schiamazzo di gente che batte i caschi in acqua DEVE essere eliminato”. 

Per chi ha conosciuto il Pollino decenni fa, la situazione del Raganello sembra paradossale. In quegli anni, per gli escursionisti italiani, il massiccio tra Basilicata e Calabria era remoto come la Luna. Chi andava a visitarlo – escursionista, botanico o zoologo, ambientalista – veniva trattato come un marziano.  

La vecchia economia della montagna, fatta di allevamento e di sfruttamento dei boschi, era andata in crisi tra le due guerre mondiali. Lo Stato, negli anni Sessanta, aveva solo saputo progettare due grandi stazioni invernali. Una, per scimmiottare Cervinia, si sarebbe dovuta chiamare Pollinia.

Poi, in pochissimi anni, la realtà è cambiata. I servizi in televisione e sulla stampa, le manifestazioni del WWF, l’improvviso interesse (vero o presunto) della politica per l’ambiente hanno portato nel 1988 alla nascita del più grande Parco nazionale d’Italia.

Un gigante di 192.565 ettari, ben più dei parchi d’Abruzzo e del Gran Paradiso messi insieme, che interessa 56 comuni e due regioni. E che include varie zone, dai monti di Orsomarso alle colline di Noepoli, che con il vero Pollino hanno ben poco a che fare. 

L’etichetta Parco, nell’Italia degli ultimi decenni, ha fatto decollare il turismo. Mentre gli escursionisti hanno iniziato a frequentare le cime e i pini loricati della Grande Porta, gli appassionati di monumenti e di cultura popolare hanno scoperto le feste religiose, i graffiti preistorici del Romito e i borghi di tradizione albanese. 

In gran parte del Parco del Pollino, l’afflusso di visitatori non ha creato problemi, e ha dato un contributo importante all’economia di molti borghi.

 Ma bastavano uno sguardo a una mappa, e un pizzico di attenzione, per capire che il Raganello era un possibile hot spot, un “punto rosso”. Un luogo fresco, spettacolare, diverso, e raggiungibile in mezz’ora dalle spiagge dello Jonio. 

La combinazione tra la comodità di accesso e la bellezza rende pericolosi luoghi simili al Raganello come gli scivolosi canyon dei Luchi, ai piedi della Majella. E altri completamente diversi, come i ghiacciai del Monte Bianco e del Cervino, dove i turisti possono sbarcare dalla funivia in ciabatte, andare a spasso su un ghiacciaio e piombare dopo qualche minuto in un crepaccio. 

Per evitare questi incidenti, in tutto il mondo, è essenziale il contributo dei parchi. Nelle aree protette degli Stati Uniti, che migliaia di italiani conoscono, canyon simili al Raganello si visitano a numero chiuso e dopo aver pagato un pedaggio, e vengono chiusi quando c’è il pericolo di una piena. 

Emanuele Pisarra, nel suo blog, cita un esempio positivo. La riserva delle Valli Cupe, presso Catanzaro, dove altri canyon si visitano a pagamento, e con regole severe. Nei parchi nazionali italiani, invece, tutto questo non c’è. 

I parchi, concentrati sull’Appennino e nel Sud, conoscono poco il loro territorio, e sono spesso governati da persone (in maggioranza pubblici funzionari e politici) che non lo praticano di persona. 

I risultati, di conseguenza sono ottimi per quanto riguarda la fauna e il restauro dei monumenti, ma insufficienti per la gestione delle attività di avventura, dall’arrampicata al torrentismo. In molte zone, le carenze riguardano anche l’escursionismo e i rifugi. 

Sui Monti Sibillini, d’inverno, basterebbe qualche carabiniere forestale a Forca di Presta per impedire a sprovveduti di lanciarsi su pendii di neve ghiacciata con le scarpe da ginnastica ai piedi. 

Al Gran Sasso, si dovrebbe fare lo stesso a Campo Imperatore, e una seria attenzione alle valanghe avrebbe forse potuto evitare la tragedia di Rigopiano. Nelle Gole del Raganello, lunedì, la chiusura della forra dopo l’allerta meteo avrebbe potuto evitare la strage, o almeno limitarne i danni. 

Martedì, a Civita e sul Raganello, a portare le condoglianze del Governo è stato Sergio Costa, il Ministro dell’Ambiente. Ci auguriamo che non sia stato un caso, ma il segno che il sistema delle aree protette italiane (che il ministero di Costa coordina) sta iniziando a rendersi conto del problema. 

Nei prossimi mesi, vedremo se qualcosa nelle aree protette italiane inizierà a cambiare in materia di sentieri, di alpinismo, di canyon e di attività di avventura invernali. C’è molto da fare, e non soltanto sul Pollino.  

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4 Commenti

  1. Dopo la caduta del ponte di Genova, scattano controlli diffusi in tutta Italia a siscoprono le magagne.Dopo questa tragedia del canyon , chissa’ quanti altri posti simili di libero accesso sono passiblili di bombe d’acqua, per non parlare dei torrenti sottostanti a dighe.I cartelli dicono “Pericolo piene piene improvvise per necessita’ scarico bacino artificiale.”Le sponde sono spiaggette frequentate, i massi isolati raggiunti a guado isole esclusive.In teoria inflessibili guardie dovrebbero multare…ma dove sono??Addirittura alcuni esercenti di campeggi ci piazzano ombrelloni e sedie .Ci scappera’le’nnesimocampeggio trascinato via da piena improvvisa??Le tragedie del passato fanno lezione un anno o due e dopo ci si dimentica si ritorna a vecchie abitudini.Il Vesuvio ha fatto danni negli anni 1940…allora possiamo stare tranquilli ,ormai e’morto.

  2. Come escursionista, anni fa, sono andato a visitare il parco del Pollino. Avevo libri del CAI e carte escursionistiche. Al passo dove si lascia l’auto, ad altri escursionisti, hanno rotto i finestrini. Lungo il percorso i riferimenti erano stati rimossi. Lì, come poi ho verficato tristemente anche in Sardegna, gli interessi dei locali, prevalgono. Se si ricerca “Gole di Raganello” in rete compaiono pagine e pagine di agenzie che offrono l’accompagnamento. Gogna, tempo fa, si era pronunciato contro le autorità che impedivano esperienze alpinistiche sul Pollino. L’impressione è che, come anche per gli incendi, gli interessi siano talmente grossi e diffusi da mascherare anche l’informazione. In questa tragedia la parola l’anno avuta, fino ad ora, solo le autorità. Le risorse naturalistiche intese come un luna park sono una tentazione per gli amministratori. La libertà per un’escursionista di percorrere un sentiero, al di fuori delle iniziative commerciali, in molti posti sta diventando un limite alla libertà di ognuno. Ricordiamoci che nelle tristi cronache quasi quotidiane, a rimetterci la vita non sono i turisti con gli infradito, da stigmatizzare, ma guide, esperti alpinisti o gruppi, come in questo caso, accompagnati da persone con tanto di insegna e sito web. L’ente parco ha dichiarato che le uniche guide autorizzate non avevano il mandato di accompagnare gruppi per quelle gole, ritenute troppo pericolose. Sul sistema che lo ha permesso e trasformato in reddito mi sembra sia calando il silenzio.

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