Alpinismo

Cala e il Laila, la forza di un sogno

Testo di Veronica Balocco, giornalista per professione, scrittrice per passione, viaggiatrice e sognatrice per deformazione genetica. Potete leggere i suoi articoli ed racconti delle sue esperienze sul sul blog www.verofinoinfondo.it

 

Che cosa fareste se aveste lottato a lungo per un sogno, vi aveste dedicato tempo e forze, soldi e sacrifici, e il giorno prima del grande giorno qualcuno ve lo rubasse? Che cosa fareste se desideraste più di ogni cosa essere i primi a fare ciò che nessuno ha mai fatto, e a un passo dal grande passo qualcuno riuscisse al posto vostro? In buona fede, forse. Ma portandovi via comunque ciò per cui avete investito tanto. Cosa fareste voi? Conosco una persona che tutto questo lo ha vissuto. Che è rimasta delusa e incredula, si è sentita arrabbiata e triste. E si è domandata se avesse senso continuare a sognare. Ma che alla fine ha scelto il suo sogno. Perché ha sentito che il senso stava tutto lì. E che non valeva la pena rinunciare solo perché qualcun altro aveva desiderato la stessa cosa, ci aveva creduto allo stesso modo ed era semplicemente arrivato prima.

I sogni sono sogni. E vanno vissuti fino in fondo, che diventino realtà o no. E così quella persona ha stretto la mano a chi lo aveva preceduto e si è complimentato con loro. Poi ha ridisegnato sul suo volto un sorriso. Lo stesso che lo accompagna sempre, anche dove nessuno ne ha uno da mostrare. Ed è ripartita. 

Un sorriso che non si spegne

Quella persona si chiama Carloalberto Cimenti. Ma in realtà lui è Cala.

Nella vita ha scelto di scalare montagne e sciare pendii ovunque lo sguardo si perda. E quello che nella sua ultima spedizione si è portato a casa – scendere con gli sci il sontuoso ed elegantissimo Laila Peak, gigante da 6.096 metri del Karakorum pakistano – non è stato un sogno infranto e riciclato. Ma una lotta vinta, anche se un team francese aveva tracciato la prima firma di sempre solo poche ore prima.Perché è stato qualcosa di unico. Che valeva ugualmente la pena vivere. Insistendo e faticando. Al di là di ogni primato”.

Ora che è tornato a casa (o meglio, ora che è partito per la luna di miele in Perù con la sua “Patata” Erika, la donna che in Pakistan non c’era ma per lui c’era sempre), a nessuno Cala ha ancora raccontato com’è andata laggiù in Pakistan. Due mesi di neve e freddo, di tende e capra cotta, a cacciare non uno, ma due sogni. Lo ha fatto per verofinoinfondo, per gli amici più normali e gli sguardi meno specializzati. Per chi ha scelto di seguire il filo di un lungo cammino fatto di tanti racconti senza un tetto sulla testa, tutti ugualmente speciali. Tutti intensamente straordinari.

La delusione e la decisione

E allora eccolo lì, a Islamabad, a metà maggio. Un arrivo che doveva essere normale, come l’inizio di ogni grande avventura. E che invece è stato fin da subito impegnativo. “E’ lì, appena sbarcati, che ci è stato comunicato che alcuni francesi avrebbero tentato la nostra stessa impresa: scendere con gli sci l’inviolata parete del Laila Peak”, racconta Cala.

Una prima sorpresa, seguita poco dopo dal faccia a faccia con gli stessi alpinisti d’Oltralpe: “Li abbiamo incontrati lungo il trekking e abbiamo proposto loro di provarci tutti insieme. Avevamo pensato che sarebbe stata comunque una bella storia. Ma loro ci hanno gelati. Perché ci hanno detto che ci erano già riusciti. Il giorno prima”. Una doccia fredda, che ha rischiato di scombussolare gli equilibri della squadra di Cala, composta anche dall’immancabile socio Mathias Koenig e da Julian Daenzer, entrambi svizzeri.

Che fare? Rinunciare? “Le discussioni ci sono state ed è stato difficile affrontare la cosa”, ricorda Cala. Ma le cose della vita si sa come vanno. E allora, “visto che restava comunque una discesa di tutto rispetto, abbiamo pensato che non aveva senso rinunciare. E abbiamo scelto di andare avanti”.

Tanti, tanti canali di acclimatamento, “quanti non ne avevo mai scesi in una spedizione, discese bellissime tutte da godere”, poi eccola. Laila. Il primo tentativo si è acceso verso mezzanotte, dalla parete nord.Ma è stato chiaro abbastanza in fretta che sarebbe stato impossibile. La parete era carica, la traccia da battere e in più ha iniziato a nevischiare”. Troppo. Soprattutto dopo che sulla terminale coperta di neve Mathias è finito dentro per metà. “Non eravamo legati perché così avevamo deciso – ricorda l’alpinista  -. L’ho afferrato per un piede e ci è andata bene”. Ma era quanto bastava per scegliere di tornare al base. E pensarci poi un’altra volta.

La cima, la beffa e il Grande sogno

L’attesa del bel tempo, a quel punto, si è automoltiplicata. “Non c’era bufera, ma neppure cielo limpido”, spiega Cala. Un empasse che sembrava irrisolvibile, e che alla fine è stato necessario affrontare di petto. Anche se le condizioni restavano variabili e non del tutto rassicuranti. Ma era ora. Una notte a 5300 metri e poi su.

Una salita bellissima, a goderci tutta la bellezza di quel momento”. Sino al pianoro finale, dove non ci si può non abbandonare a un sano riposo.Eravamo in cima al Laila – ricorda Cala -. Ed era stupendo. Abbiamo appoggiato gli sci e siamo rilassati prima della discesa. Poi all’improvviso sentiamo un urlo. Era Julian. Il suo sci era scivolato giù dalla parete sud”. Per lo svizzero è la fine di un sogno. La beffa che in un secondo, per la seconda volta, ruba la discesa di una vita.

Ma Cala e Mathias sono lì. E mentre l’amico dovrà accontentarsi di scendere con i ramponi, per loro sarà il momento del sogno. Quello vero. Ma qualcosa alla portata di pochi: “I primi 250 metri sono veramente ripidi, sfiorano i 55 gradi. Ti trovi lì e hai il mondo sotto di te. E sai che devi scendere”. Difficile trovare il coraggio per darsi la spinta. Ma certe emozioni vanno vissute. E allora tre minuti di attesa, come testimoniato dai documenti della GoPro, poi “o la va o la spacca”. Prima curva saltata a destra, poi un’altra e un’altra ancora. E la danza è iniziata.Rotto. Il ghiaccio, ho capito che era tutto stupendo”, ricorda Cala. Nessun pensiero al fatto che in cima avesse ricominciato a nevicare e che scendere significasse fendere enormi fiocchi bianchi. “Zero vento, pendii meravigliosi, una sensazione di potenza”. Nient’altro. Solo un’ora e mezza totale di bellezza, qualche timore e tanta adrenalina, sino all’incontro con Julian che ha messo la parola fine al giro di valzer. 

Ma non è mai abbastanza

Il coronamento di un sogno richiede sacrificio, ma poi domanda la sua giusta gloria. Ecco perché una sola discesa non era abbastanza. E due giorni dopo, per Cala e Mathias è stato di nuovo tempo di tornare in aria sottile con i lunghi assi, alla ricerca di quella “prima” che ancora un po’ bruciava dentro dopo essere sfuggita così. “Abbiamo saputo che vicino c’era una montagna mai scesa con gli sci. Un 5900, che abbiamo voluto fare nostro per celebrare quel piccolo, umano desiderio di essere i primi”. (Laila’s) Little Sister è nata lì. Semplicemente. Su una linea di discesa che il mondo non aveva mai potuto ammirare.

Ma ancora non era abbastanza. E il ritorno alla civiltà è durato giusto l’attimo sufficiente a prepararsi per tornare fra i Giganti. Questa volta, un Ottomila. Il Gasherbrum II. “La strada per la montagna sarebbe stata molto veloce e diretta, attraverso un colle e la discesa a Concordia, se non avessimo dovuto raggiungere Skardu per le formalità burocratiche di chiusura della spedizione al Laila”, ricorda Cala. Quindi tappa al villaggio, ritrovo con gli amici alpinisti Maurizio Basso e Francesco Cassardo e con gli altri membri della spedizione organizzata grazie alla logistica dello svizzero Felix Berg. Tra di essi, il fuoriclasse polacco Adam Bielecki, reduce dai riflettori del salvataggio alla francese Revol sul Nanga Parbat.

La semplicità che non è mai tale

Per tutti, lo stesso programma: partenza per Askole e una lunga settimana di trekking verso il campo base dei Gasherbrum. “Il tempo che restava prima del volo di ritorno era veramente poco. Tre settimane”, chiarisce Cala.

Non molto davvero, per un Ottomila così, reputato tra i più semplici nel suo complesso ma estremamente ostico nella prima parte, dal base al campo I.Un groviglio di seracchi, buchi, insidie di ghiaccio. Un dedalo quasi inestricabile all’interno del quale dovevamo individuare una possibile via di salita”. Qualcosa che ci si attendeva di poter portare a termine in un paio di giorni, e che invece si è dimostrato molto più arduo del previsto.

In un solo giorno, camminando da mattina a sera, mi sono reso conto di aver percorso circa 200 metri di dislivello, sino a 5400 metri”, racconta ancora l’alpinista di Villarbasse. Poco, pochissimo. Diventato solo poco di più, fino a 5600 metri, il giorno dopo. E poi tornato al punto di partenza nei tre giorni di brutto tempo successivi, passati al base fra un pasto cucinato dai cuochi, una festa in tenda, un brindisi con il Pastis dei francesi e un Bielecki che preferiva il suo liquore a base alcol puro diluito in acqua. Tutti ad aspettare l’impresa, poi riuscita proprio con l’aiuto del polacco, di arrivare almeno a campo I. E poi da lì a campo II. Giusto il tempo di toccarne il suolo, lasciare il materiale e tornare al base ad aspettare il momento buono per la cima.

…E il sogno che svanisce

Ma a volte le cose funzionano. E a volte no. E per un sogno che comunque si avvera ce n’è sempre un altro che svanisce.E infatti per noi il tempo della cima non è mai arrivato – ammette Cala — Il brutto tempo si è insediato sulle nostre teste. E visti i pochi giorni a disposizione, ci ha separati definitivamente dal sogno di raggiungere il Gasherbrum II”. 

E’ quando dicono che bisogna saper rinunciare. Perché non ci sono le condizioni. Perché qualcuno, o qualcosa, di più grande decide per te. “Semplicemente non era tempo di arrivare in cima. E’ andata così”. E per Cala e compagni è iniziato il cammino alla rovescia, il ritorno alla base. La track-back da un mondo a un altro: da quello dei sogni realizzati che valgono più dei sogni rubati, a quello di una moglie. Da quello delle umane competizioni e dei sogni che non sempre sono possibili, a quello di una luna di miele da vivere. Di una vita da iniziare. E di un abbraccio caldo da ritrovare.

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