
La fama arriva con il Nanga Parbat, nel 1953, quando entra nella leggenda come primo alpinista a scalare un ottomila in solitaria e senza ossigeno.
Di fronte al ritardo del compagno di cordata (della spedizione austro-germanica a cui apparteneva), Buhl si è lanciato da solo nell’impresa, impiegando 41 ore totali dal campo 5 alla vetta e ritorno, sopravvivendo a stento. Gli altri alpinisti dell’epoca al suo ritorno gli rimproverarono di aver tentato un gesto tanto pericoloso.
Per conoscere l’alpinista e l’uomo, vi consigliamo tre libri: il primo ovviamente è “È buio sul ghiacciaio” (Corbaccio) contenente i diari dello stesso Bhul delle spedizioni al Nanga Parbat, al Broad Peak e al Chogolisa (la narrazione dell’alpinista si interrompe poco dopo la salita del Broad Peak e le ultime pagine della sua vita sono raccontate da Kurt Diemberger); “Hermann Buhl – In alto senza compromessi“, in ristampa, di Reinhold Messner e Horst Hofler; il secondo, “Danzare sulla corda” (Corbaccio), dell’amico Diemberger che dedica una decina di capitoli proprio alla spedizione sul Broad Peak.
Invece, per un punto di vista diverso e molto toccante, vi segnaliamo anche “Mio padre Hermann Buhl“, edito CDA & VIVALDA, in cui Kriemhild Buhl, la primogenita, racconta il coraggio di vivere della madre e il diventar grandi delle tre sorelle, senza padre ma comunque sempre all’ombra della sua leggenda.