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L’ultima volta di Tomek e Elisabeth

Difficile districarsi tra le plurime relazioni, più o meno ufficiali redatte dai molti, vicini e lontani, che hanno dato una mano o partecipato direttamente a questo ultimo soccorso himalayano. Si tratta di notizie tecniche e quasi burocratiche.

Arduo invece leggere le molte pagine dei giornali, cariche oltre che di informazioni, anche di giudizi, opinioni e consigli, perlopiù espressi da estensori che con l’alta quota e montagna hanno poca confidenza.

Mentre  Elisabeth  suo malgrado viene braccata dalla stampa e vien fotografata con bende e camicia da notte nell’ospedale di Sallanches, il “gatto rosso” Tomek ha smesso di miagolare e se ne sta gelido a 7280 dove Elisabeth lo aveva lasciato con dolore, la promessa che qualcuno sarebbe salito a prenderlo e l’unico fornello in comune. Ha così smesso di infastidire i suoi detrattori passati e recenti, che qualche sasso continuano a tirarglielo.

Alcuni pur non conoscendo bene il significato di “stile alpino”, esercitano la critica alpinistica caricandola di raffinata ipocrisia, criticando per gli azzardi alpinistici e i rischi che Tomek, insieme al suo angelo custode Elisabeth, si sono assunti sul Nanga, nel passato e in quest’ultima spedizione.

Pare giusto ricordare che la storia alpinistica della cordata Revol-Mackiewicz sta non tanto nella esemplare o meno gestione tecnica e alpinistica di una spedizione, ma nella esaltante e folle scelta di praticare un alpinismo che lei definiva leggero e che era certamente essenziale nell’azione, nei mezzi e nel pensiero.

Una scelta estrema, senza paracadute, senza scappatoie, senza i poco edificanti compromessi delle corde fisse, delle tende premontate, per non parlare dell’ossigeno.

Un alpinismo diseducativo, pericoloso, mortale?  Si, almeno in parte, e la morte di Tomek ne è la prova. Ma giudicare Tomek e Elisabeth col metro del solo conformismo pare inadeguato e ingiusto; questa spedizione al Nanga, della quale è possibile apprendere dai “bollettini” molti dettagli tecnici, utili in ogni caso, fa emergere in molti di noi l’inconfessabile piacere di pensare che ci siano ancora uomini e donne che sfidano le convenzioni, le avversità naturali e i limiti umani in nome di un assoluto senso della libertà individuale per raggiungere cime e vette “inutili” e fredde.

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