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Nepal, questa guerra è una follia

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Ventimila morti  in pochissimi anni sono una lacerazione profonda nel tessuto sociale nepalese. Ma questa è la cifra – probabilmente arrotondata per difetto – della guerriglia tra l’esercito regolare nepalese e i gruppi maoisti, che a detta degli osservatori più accorti ( ma lo sono?) controllano ampie aree del Paese.

A noi francamente questa “guerra”, che miete vittime soprattutto tra i contadini dei villaggi e tra la popolazione civile delle maggiori cittadine nepalesi e della periferia di Kathmandu, pare una follia.
 
I maoisti, quanti siano – qualche migliaia, com’è probabile, o parecchie, come viene minacciato – sono certamente il frutto avvelenato della povertà di tanti e della miseria ideologica di pochi. Di un regime che non ha saputo cogliere nessuna delle opportunità che la natura e la storia culturale di questo popolo hanno offerto. Certo non sono loro la soluzione di alcunché, anzi sinora hanno prodotto solo morte e ancor più miseria.
 
L’esercito nelle sue roccaforti, quasi in trincea, mantiene le posizioni chiave del paese. Non difende la popolazione, ma sé stesso e i centri del potere. Gli uni e gli atri se la prendono con la gente, con i contadini, con i funzionari pubblici.
 
Re e partiti hanno usato lo spauracchio (il terrore) maoista, il primo per mantenere il suo totale potere sul Paese , i secondi , incapaci per anni di governare, per tentare di indebolire il potere del Re.
 
Il “tragico gioco” sembra  arrivato ad una svolta. La gente di Kathandu ha accettato la sfida dei partiti, e ha aderito ad uno sciopero ad oltranza. Non più pochi o “terroristi” ma donne e uomini, medici e insegnanti, dirigenti dello stato, venditori di souvenir, studenti.
 
Si è aperta una nuova fase della terribile lotta per il potere, in questo Paese gentile e allo stesso tempo tragico, una evoluzione che non sappiamo dove ci porterà.

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