Ho partecipato alla serata del circuito italiano in cui sono presentati 10 film scelti fra i 35 finalisti. Ecco alcune considerazioni.
Prima di tutto non ho colto quella spettacolarità che avevo trovato nelle edizioni precedenti e attribuisco questo a due motivi: il primo (e fondamentale secondo me) sta nel fatto che i budget investiti nelle produzioni non sono più gli stessi perché le aziende hanno stretto i rubinetti dei finanziamenti; il secondo è che il film di montagna sta attraversando un periodo di ricerca di nuove linee e interpretazioni dal quale non è ancora uscito in maniera chiara. Cresce infatti la “concorrenza”, se possiamo chiamarla così, della freschezza e immediatezza dei filmati autoeseguiti che vengono messi in rete ormai in maniera continuativa e che assorbono molto dell’interesse dei giovani in particolare.
In questa situazione i film che mi sono piaciuti di più hanno poco a che vedere con quei video di sci o arrampicata che caratterizzavano la rassegna di Banff negli anni passati.
I fuoripista in Alaska ormai ricalcano riprese già viste troppe volte, l’esaltazione dei climber che provano il parapendio mi è sembrata esagerata, le storie di arrampicata hanno introdotto delle variabili di situazioni particolari, ma non mi hanno preso.
Belli invece i due film che hanno come personaggi principali i cani.
Trail dog è una storia di due cani, madre e figlio, che corrono con il padrone. Il film racconta del passaggio di consegne fra il cane vecchio e pieno di esperienza e di dedizione al padrone ed il cane giovane ed esuberante che è destinato a sostituirla. Un passaggio è sottolineato da belle immagini, alle quali si sovrappongono frasi retoriche in parte già note, ma che non fa mai male ricordarsene.
Ace and the desert dog è invece ambientato nel deserto dell’Utah e racconta di un cane che segue in un trekking a due il padrone cercando di capirne i sentimenti e le motivazioni; anche qui un bel rapporto di amore reciproco.
Il film che mi è piaciuto di più in assoluto è stato Northbound (diretto a Nord), girato su una spiaggia sull’oceano, colori di dominante azzurra, freddo vento, natura severa. Quattro giovani skateboarder viaggiano oltre il Circolo Polare Artico, lunga la gelida costa norvegese, cercando di applicare il loro stile urbano sulla sabbia ghiacciata, tra cieli pastello e atmosfere rarefatte. Il risultato è un bel mix di salti ed acrobazie tra venti ghiacciati ed effimere mini rampe. Una menzione speciale va al direttore della fotografia Łukasz Zamaro. Le musiche per questo corto dalle immagini sublimi sono state realizzate dal musicista e compositore norvegese Erlend Elvesveen.
La cosa che mi ha colpito è il finale: i ragazzi trovano nella natura il modo di divertirsi e fare il loro gioco utilizzando quello che la natura offre loro, modificandola, trovando le situazioni giuste, costruendo anche delle cose come una rampa da skateboard; poi arrivano il vento e le onde che distruggono tutto quello che noi (loro) abbiamo costruito e tutto torna come prima del nostro passaggio.
Il parlato solo in norvegese e quindi incomprensibile lascia tutto lo spazio alle immagini e rende il video molto affascinante: con la montagna c’entra poco, ma con la relazione che in montagna si crea tra noi e la natura c’entra tantissimo!