Alpinismo
Everest, la vetta di Paco Monedero
KATHMANDU, Nepal — E’ arrivato in cima all’Everest l’alpinista spagnolo Francisco Monedero, detto Paco. L’ha raggiunta il 20 maggio, da solo, di notte, insieme ad uno Sherpa. Sognava di compiere l’impresa senza ossigeno, ma la tremenda bufera che si è scatenata lassù lo ha indotto ad indossare la maschera per gli ultimi 400 metri: le temperature sono scese fino a 38 gradi sotto zero con vento tra i 25 ei 30 nodi.
"Il 18 maggio sono arrivato a campo 4, 8000 metri, senza ossigeno – racconta Monedero -. Tutto il mondo saliva con la maschera tranne me. Ero deciso ad arrivare in vetta nel modo più naturale possibile ma quando mancavano 400 metri non mi sentivo più le mani e i piedi per il freddo. Sicuramente continuando così non sarei arrivato in cima e forse mi sarei congelato. Ma ho tenuto la bottiglia aperta al minimo e ne ho consumato davvero poco".
L’Everest è il terzo ottomila di Monedero, originario di Segovia. Una volta giunto in vetta, l’alpinista ha voluto spargere le ceneri del fratello Curro, scomparso di recente. Poi è ha alzato la bandiera di Segovia, candidata a diventare Città della Cultura nel 2016, e quella del Real Madrid.
Difficile la discesa, durante la quale l’alpinista spagnolo ha rischiato due volte la vita sull’Icefall. La prima, quando uno sherpa accanto a lui è precipitato nel vuoto e ha rischiato di trascinarlo con sè. La seconda quando un blocco di ghiaccio lo ha quasi investito.
"Per fortuna sono riuscito a non cadere con lo sherpa – racconta l’alpinista – e poi con altri siamo stati in grado di tirarlo fuori vivo dal crepaccio. Più a valle, un enorme blocco di ghiaccio delle dimensioni di un divano mi stava cadendo addosso. L’ho schivato per miracolo, solo perché ho sentito il grido di Damien Benegas e d’istinto mi sono spostato".
Per l’occasione pubblichiamo una breve e simpatica videointervista girata al campo base con l’alpinista qualche giorno prima della salita.
Sara Sottocornola