Montagna.TV

La cima dell’Everest in invernale senza ossigeno fu già conquistata, dallo sherpa Ang Rita nel 1987

di Gian Luca Gasca

Negli ultimi giorni si sta parlando di quella che promette di essere un’interessante spedizione invernale con cui inaugurare il nuovo anno. Si tratta dell’idea dello scalatore basco Alex Txikon di salire l’Everest in inverno senza l’uso di ossigeno. In particolare si tratta di realizzare la scalata “en pleno invierno” come giustamente scrive Alex perché, come a molti è sfuggito, la prima salita invernale senza ossigeno dell’Everest è già stata realizzata. Nel dettaglio è avvenuta alle 15:20 del 22 dicembre 1987, circa dieci ore e trentacinque minuti dal solstizio d’inverno avvenuto alle ore 04:45:13.
La scalata è stata realizzata dallo sherpa Ang Rita facente parte di una spedizione sud coreana diretta da Ham Tak-Young impegnata sulla via normale nepalese al tetto del mondo. A raggiungere la vetta, oltre ad And Rita, l’alpinista Heo-Young Ho che, a differenza dello sherpa, ha fatto uso di ossigeno.
Durante la salita i due alpinisti passano tre notti a campo 4 dove Heo-Young Ho fa uso dell’ossigeno supplementare per dormire, e lo usa anche sopra, mentre sale e mentre bivacca, quindi nel corso della discesa dalla vetta.
Ang Rita che, come detto prima, non ha mai usato l’ossigeno, diventa nel momento in cui tocca la cima il secondo uomo al mondo ad essere stato in cima all’Everest per quattro volte e anche il primo a salirlo d’inverno senza ossigeno.

Questa prima invernale senza ossigeno è un’invernale che lascia adito a contestazioni perché, come giustamente ha ribadito più di una volta Simone Moro, una spedizione invernale deve iniziare dopo il solstizio d’inverno e terminare entro l’equinozio di primavera. I coreani hanno invece effettuato la maggior parte dei lavori sulla montagna prima dell’inizio ufficiale della stagione fredda. Pratica che però non suona come sconosciuta nel passato. Anche il Manaslu, ad esempio, ha avuto la sua prima invernale con una spedizione partita prima dell’inizio dell’inverno, tanto che gli alpinisti il 21 dicembre erano impegnati a 7100 metri di quota per fissare campo 3. Quindi la montagna è stata preparata interamente durante l’autunno. D’altronde però, come scrive lo stesso Moro, in Himalaya questo “era in parte accettabile all’epoca dei pionieri, quando occorreva dimostrare che queste vette erano raggiungibili in inverno, ma oggi […] si esige la correttezza di comunicare esattamente la data di partenza e quella in cui si raggiunge la vetta”.

Ang Rita è salito sull’Everest nel 1987, a soli sette anni dal primo “8000” realizzato in invernale. Possiamo quindi ritenerla “epoca dei pionieri”? Le statistiche dicono di sì, e non solo. Anche alcuni storici sono d’accordo e con loro lo stesso Simone Moro. Lo scalatore ci tiene però a precisare la mancanza di una prima salita invernale compiuta da un occidentale senza ossigeno e di una prima “winter expedition and summit” senza ossigeno, cioè una prima salita realizzata secondo i canoni moderni tra il 21 dicembre e il 21 marzo. Esattamente come per Lhotse, Manaslu e altre cime aggiunge Moro in conclusione.

Rimane però una domanda, perché Ang Rita pare quasi dimenticato dalla storia dell’alpinismo? È sua la prima invernale senza ossigeno dell’Everest, di uno sherpa. Uno che è stato protagonista della storia dell’himalaysmo però, pur sempre uno sherpa. In fondo manca la prima salita di un occidentale senza ossigeno.

Exit mobile version