A casa di Walter Bonatti
Di fianco alla fotocopiatrice e al fax, è posizionata la scrivania di legno, sulla quale trovavano posto un piccolo visore con il ripiano luminoso per le diapositive, una lampada da tavolo nera, diverse pile di fogli scritti a macchina. «Sono per il mio nuovo libro», dice Bonatti sedendosi serio alla scrivania. «Sai, io non uso computer» aggiunge con un risolino.
Alle sue spalle – e ciò lo noto solo dopo un istante – è posto un mobile di legno rivestito in carta da parati colorata con un fantasia raffigurante coste di libri affiancate: sembra una biblioteca, invece sono libri disegnati, libri finti!
«La cosa che non mi dimenticherò mai» disse alla fine della ricostruzione dei fatti con un tono fattosi rabbioso, «è la malafede di certa stampa. Si volle fare una montatura scagliandomi contro l’opinione pubblica. Non mi perdonavano di essere tornato vivo. E dicevano che non avevo fatto abbastanza per salvare i miei compagni».
Solo un mese dopo i fatti, Bonatti venne visto da certi inglesi di notte, al bivacco della Fourche, con un cliente mentre verificava se nel libro del rifugio qualcuno, in quel momento, fosse impegnato sul Pilone.
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, mentre lui, visibilmente alterato ricordando le polemiche, toccava a uno a uno gli oggetti sulla scrivania cambiandogli di posto.
«Ma ora tutto è finito» gli dissi per spezzare la tensione.
«Sì, ma ce n’è voluto di tempo!».
Si appoggiò allo schienale della sedia, dietro la scrivania, e si passò le dita sul mento. «L’alpinismo tradizionale ha il merito di aver arricchito l’uomo di esperienze che affondano le radici nella morale, nell’etica e nell’estetica. Fare alpinismo per me è stato un modo di vivere e migliorarsi: l’importante sarebbe che questa ricerca continuasse. Invece oggi l’alpinismo si è snaturato, è diventato uno sport dove la componente dell’avventura è venuta meno. Anche se tutti ne parlano, quella che ti vendono oggi è un’avventura prefabbricata».
Messner e Bonatti durante la consegna del Piolet d'Or (il più importante riconoscimento del mondo dell'alpinismo) alla carriera a Walter nel 2009. Foto @ ANSA/WALISH
«Questi signori hanno una cultura nata a tavolino. Perché se qualcuno di loro avesse vissuto la vita come meriterebbe di essere vissuta, probabilmente rifiuterebbe questi concetti. L’alpinismo ha la forza di creare degli uomini, di allargare gli orizzonti dell’uomo».
«E del rischio cosa mi dici».
«Io ho convissuto spesso con la morte, sia in alpinismo, sia in giro per il mondo sono stato più volte a tu per tu con lei. Ma se le sono andato così vicino non è perché sia votato a morire, l’ho fatto solo per vivere più intensamente».
Bonatti ha risvegliato – in chi lo ha letto o lo ha sentito parlare – quella fantasia innocente che in tutti noi con l’età tende a sopirsi ma che è pur sempre pronta a risvegliarsi. Prima di lui lo aveva saputo fare Emilio Salgari con romanzi di fantasia: Bonatti è riuscito a far sognare – compito assai più difficile – con la realtà.
È passato tanto tempo da quelle conversazioni, per me seducenti e indimenticabili, nel suo studio in Valtellina. E lo rivedo mentre mi spiega con la sicurezza dei saggi i valori che lo avevano guidato nella sua esistenza. Granitico, di fronte alle temerarie convinzioni di uomo rimasto sempre uguale a sé stesso.