Aconcagua: la mummia, la maledizione, il ritorno
Gli Incas e altri popoli delle Ande praticavano dei sacrifici umani ad alta quota. La mummia dell’Aconcagua, scoperta 41 anni fa a 5400 metri e a lungo studiata in laboratorio, verrà probabilmente riportata sulla montagna
L’8 gennaio del 1985, piena estate nell’emisfero australe, cinque alpinisti (ma lì si dice andinisti) di Mendoza fanno una straordinaria scoperta. Mentre salgono verso i 6961 metri dell’Aconcagua per la poco frequentata cresta Sud-ovest, Gabriel Cabrera, i fratelli Alberto e Franco Pizzolón e i fratelli Juan Carlos e Fernando Pierobón, notano ai piedi di un salto di roccia un cumulo di pietre che sembra di origine artificiale.
La quota è di 5400 metri, alcune penne sparse intorno alle pietre fanno pensare che siano i resti di un condor. Invece, quando si avvicinano, gli alpinisti scoprono un cranio umano. Si tratta di un piccolo sito rituale con al centro i resti di un bambino, abbandonato sulla montagna qualche secolo prima.
Dalla metà del Cinquecento in poi, in questa zona delle Ande, vivevano gli Huarpes, una tribù Inca che i conquistadores di Pizarro avevano cacciato dal Perù. Sono stati loro a battezzare la montagna Aconcàhuac, “sentinella di pietra”. Come tutti i popoli andini, questi indios hanno lasciato sull’Aconcagua un drammatico segno della loro crudele venerazione per le cime.
“Il giorno della scoperta abbiamo lasciato la mummia dov’era, e abbiamo proseguito verso la vetta. Quindici giorni dopo siamo tornati con un gruppo di archeologi diretti da Juan Schobinger, per riportare i resti a valle” mi ha raccontato qualche anno fa Gabriel Cabrera, alpinista e lungo ricercatore dello IANIGLA, l’istituto nazionale argentino che si occupa di nivologia e glaciologia.
“Gli archeologi hanno confermato che si trattava di un santuario. Gli Huarpes volevano probabilmente compiere il sacrificio sulla vetta dell’Aconcagua, ma sono stati bloccati dalle difficoltà del percorso. In altri luoghi delle Ande, resti di sacrifici, umani e non, sono stati trovati anche oltre i 6000 metri” ha proseguito il ricercatore.
Una volta a Mendoza, la mummia viene conservata sottozero, in una camera stagna simile a quella che verrà usata qualche anno dopo per Ötzi, l’“uomo del Similaun” rinvenuto nel 1991 sul confine tra l’Alto Adige e l’Austria. Negli anni successivi, i ricercatori argentini scoprono che il ragazzo dell’Aconcagua è morto all’età di 7 anni. Non è chiaro se sia stato ucciso sul posto, o abbandonato ancora vivo.
Quindici anni dopo, nel 1999, altre tre mummie di giovani, due maschi di 5 e 7 anni e una ragazza di 13, vengono scoperte sul cratere del vulcano Llullaillaco, 6739 metri, un’altra delle cime più elevate delle Ande. Le ricerche biochimiche e radiologiche compiute a partire dal 2013 dimostrano che, prima di morire, i tre erano stati sedati con quantità elevate di coca e di alcool.
Con la nostra sensibilità di oggi, riti come quelli dell’Aconcagua e del Llullaillaco sembrano incredibilmente crudeli. Per molti popoli andini, invece, sacrificare ciò che avevano di più caro era l’unico modo per invocare la protezione degli dèi. La storia di Abramo e del sacrificio di suo figlio Isacco, richiesto e poi bloccato per intervento divino, raccontata dalla Bibbia, non sembra così lontana dai riti degli Huarpes e degli Inca.
Gli indigeni chiedono che la mummia torni dove è stata trovata
Dopo il trasporto a valle della mummia, sull’Aconcagua e sulla provincia di Mendoza si allunga la nuvola di una maledizione. La sera stessa, al campo-base, un macigno si abbatte sulla piazzola dove Juan Carlos Pierobón stava per sistemare la tenda. Tre giorni dopo, un terremoto colpisce la città, uccidendo 6 persone e ferendone 238. Ben 12.000 case in terra battuta vengono abbattute.
L’Argentina, al contrario della Bolivia o del Perù, è popolata prevalentemente da bianchi, discendenti da immigrati arrivati dall’Europa. Negli ultimi decenni, però, la voce dei rappresentanti delle comunità indigene è diventata importante. Accanto alle rivendicazioni culturali ed economiche, c’è la richiesta che il “guardiano dell’Aconcagua” venga riportato in montagna. Nei prossimi mesi, la richiesta potrebbe trasformarsi in realtà. “Il corpo è stato oggetto di studi scientifici, il suo genoma è stato sequenziato. Ma cosa bisogna fare ora? Deve continuare a essere un oggetto di laboratorio o deve essere riportato dov’era stato deposto in origine?” chiede il portale Argentina Indigena.
Il sito riferisce che si è riunito più volte un tavolo di dialogo interculturale, con la partecipazione delle comunità indigene, del governo della Provincia di Mendoza e dell’Università Nazionale di Cuyo. Fin dall’inizio, si è deciso di informare le comunità indigene, e di rispettare le loro richieste e la dignità del ragazzo sacrificato, evitando i sensazionalismi.
Tre anni fa, nel 2022, Victor Durán, uno degli archeologi che avevano portato a valle la mummia nel 1985, dichiara al quotidiano Los Andes e poi al Clarín, il più diffuso giornale argentino di “aver sempre desiderato che possa tornare nel suo sito, in buone condizioni per la sua conservazione. Nel museo di Mendoza, visitato da residenti e turisti, possono restare gli oggetti trovati accanto a lui”.
Poi, per tre anni, il progetto si ferma. Pochi giorni fa invece, dai laboratori del CONICET, l’equivalente argentino del CNR, la mummia viene portata nel Museo Cornelio Moyano, per essere conservata senza essere esposta al pubblico. Da qui, in tempi da definire, dovrebbe essere riportata sull’Aconcagua. “Deve finalmente poter riposare sulla montagna che lo ha accolto secoli fa, bisogna onorare la sua memoria secondo le tradizioni dei popoli originari”, commenta Argentina Indigena.
Torneranno a “casa” anche altre mummie?
Sui social, i commenti sono tutti a favore del “ritorno a casa” della mummia. Ma la discussione non finisce qui. In futuro, scrivono alcuni, bisognerà riportare ad alta quota anche le tre mummie dello Llullaillaco, oggi esposte (a turno, e in maniera rispettosa) nel Museo Archeologico di Salta.
Viene da chiedersi se questo tipo di richieste, in futuro, attraverserà l’Oceano Atlantico. Qualcuno proporrà seriamente, in Europa, di riportare nei luoghi del ritrovamento i resti di Ötzi, dell’Uomo di Mondeval e delle centinaia di mummie (preistoriche, etrusche, romane, medievali…) esposte in decine e decine di musei?
E cosa potrebbe accadere in Egitto, dove le mummie dei faraoni sono esposte anche nel Grand Egyptian Museum (GEM), il grandioso museo archeologico inaugurato da poche settimane al Cairo? Il destino della mummia dell’Aconcagua potrebbe non riguardare solo le Ande.




