Le antiche miniere di Cogne nelle straordinarie immagini di Stefano Torrione
“Quota 2214 – Viaggio al centro delle miniere di Cogne”, racconta storie di fatica e di ingegno. E ricorda che le montagne sono l’archivio del nostro passato
“I minatori non hanno eroi, sono i dannati della terra.” Con queste parole inizia il suo saggio il professore di storia moderna Marco Cuaz, all’interno del libro Quota 2214 – Viaggio al centro delle miniere di Cogne. Ultima fatica del fotografo valdostano Stefano Torrione, il volume racconta con immagini inedite il sito minerario più celebre della Valle d’Aosta.
Le miniere di Cogne sono state per secoli il cuore dell’economia della valle e tra le più alte d’Europa. Qui, a quota 2400 metri, sorge il villaggio di Colonna, un agglomerato costruito apposta per ospitare i minatori. Oggi appare come un avamposto sospeso nel vuoto, ma un tempo era un piccolo mondo autosufficiente: dormitori, mense, perfino un cinema. “Quando si arriva lassù sembra di essere in un tempio himalayano appoggiato sulle pendici di questa montagna che precipita verso il villaggio. E invece si tratta di una costruzione di oltre un secolo fa dove quasi mille minatori vivevano, dormivano, mangiavano, lavoravano,” racconta Torrione.
Dalla montagna veniva estratta la magnetite, un minerale ferroso prezioso per l’industria, già conosciuto nel Medioevo e poi sfruttato sistematicamente durante il Novecento, fino a diventare la più grande miniera di ferro d’Italia. Il boom si ebbe negli anni Trenta e Quaranta, quando le gallerie brulicavano di uomini e di rumore, e il villaggio di Colonna contava quasi mille residenti. Poi, lentamente, iniziò il declino, fino alla chiusura definitiva nel 1979.
Oggi restano i segni: strutture fatiscenti, gallerie oscure, macchinari arrugginiti. Tracce visibili e invisibili di un’epoca che non c’è più. Baluardi della memoria, testimonianze di un passato in cui la montagna non era solo teatro di imprese sportive, ma luogo di lavoro, fatica e comunità. In questo senso, come ricorda Torrione, le montagne sono veri e propri archivi viventi di ciò che siamo stati.
“Salì per la prima volta a Colonna nel 1991, con un vecchio eskimo sulle spalle. Rimasi folgorato dalla potenza del luogo e dai segni del suo passato. Negli anni successivi sono tornato più volte alle miniere e le ho ritrovate sempre più consumate dal tempo e dal vuoto. Mi sono addentrato nelle viscere della montagna fino a quota 2214, l’ultimo livello di scavo, dove i minatori affondavano le punte dei compressori per estrarre la magnetite”. È una storia d’amore lunga trent’anni quella che lega Torrione alla pancia della montagna. Le sue fotografie restituiscono tutta la potenza e il senso di vuoto di questi luoghi: spettrali, silenziosi, oscuri, ma anche incredibilmente affascinanti.
A completare le immagini, due saggi che aprono nuovi orizzonti di riflessione. Quello di Marco Cuaz racconta storia e immaginario delle miniere valdostane, quello dell’architetto Roberto Dini indaga passato e futuro delle architetture fuori e dentro la montagna. Perché la memoria non è soltanto ciò che resta, ma ciò che continuiamo a guardare.