
Piange il cuore di fronte alla tragedia accaduta sul Laila Peak, in Pakistan, dove quattro alpinisti friulani e veneti stavano praticando il bellissimo gioco dell’alpinismo e dello sci su una affusolata guglia di 6096 metri di quota.
L’ambizione di una prima sciata sui ripidi pendii del Laila, dalla vetta alla base, era il loro sogno. Ora infranto nel dolore.
C’è poco da ricostruire, anche se il dolore si alimenta e a volte attenua nel sapere e conoscere.
Ad ogni modo i quattro sono, Carlo Cosi, guida alpina di Padova, il tarvisiano Zeno Ceccon, il capo spedizione goriziano Enrico Mosetti e Leonardo Comelli, di Muggia, paesone appoggiato sul mare di Trieste, il fotografo del gruppo.
La dinamica non può prescindere dai tempi della spedizione.
Partiti il 25 maggio dall’Italia avevano previsto di impiegare 6/7 giorni per raggiungere il campo base; prima a Skardu e poi da qui in jeep a Hushey, da dove hanno proseguito a piedi lungo il ghiacciaio Gondogoro fino ai 4170 metri del “base”.
Tre giorni fa i “ragazzi” hanno posizionato un campo a 5350 di quota “su una comoda collinetta”, così l’aveva descritto il capo spedizione, e di fatto avevano iniziato il loro acclimatamento, peraltro previsto dal loro programma in 17 giorni: “In quei 17 giorni ci acclimateremo sulle montagne intorno, cercando di sciare nuove linee su pareti ancora inesplorate con gli sci su cime che si aggirano tra i 5.500 e i 6.000 metri. Poi, quando saremo pronti, tenteremo il Laila”.
Giova ricordare che si tratta di una montagna di 6200 metri che per essere salita con sicurezza e soprattutto discesa con gli sci andrebbe digerita con almeno un paio di settimane di esposizione in quota, come loro stessi avevano previsto.
Ieri mattina erano partiti alle 4 ora locale dal campo alto; alle 7 il team era in fase di discesa sulla parete nord ovest ed aveva già percorso 600 metri circa di pendio, un buon passo, rientrando da un primo tentativo alla vetta: erano arrivati a 150 metri dal punto più alto della loro montagna e avevano preferito per prudenza ridiscendere, per aspettare migliori condizioni della neve sul tratto terminale.
Le condizioni meteorologiche e quelle della neve erano state giudicate ottime per effettuare la salita, gli alpinisti erano anche l’unica spedizione presente su questa montagna.
Poco dopo la decisione di rientrare al campo, mentre i compagni erano fermi in un posto sicuro ad aspettare che Leonardo li raggiungesse, com’è corretto fare nelle discese di sci ripido rimanendo in vista l’uno dell’altro, Comelli ha incrociato gli sci ed ha perso l’equilibrio ribaltandosi indietro e precipitando per 400 metri lungo il ripido pendio di neve, ghiaccio e roccia.
L’adrenalina e l’abilità hanno permesso al compagno Zeno Cescon di tentare di soccorrere il suo amico, purtroppo dovendone constatare la morte. Gli sono stati vicino un paio d’ore, poi lo hanno trasportato in un luogo riparato a circa duecento metri da dove era precipitato.
Come accade di questi tempi, i mezzi di comunicazione satellitare hanno immediatamente consentito di trasferire il dolore dei tre ragazzi alle famiglie e agli amici in Italia.