Di questo “giretto” (come lo definirebbe Giacomo Kominotti) se n’era parlato già alla prima uscita in bici che ho fatto con Moretz e Ganjalf, ormai tre anni fa. Di sicuro la “realizzazione” non è venuta adesso per motivi di particolare forma fisica: solo casualità e forse consapevolezza che se non lo avessimo fatto ora non l’avremmo più fatto.
Partiamo da Lecco Venerdì 20 alle 7:00 (ovviamente il ritrovo era alle 6:15) con zaini in versione bomba pronta ad esplodere e scarponi appesi all’esterno; siamo accompagnati fino a Olcio da Berna munito di videocamera.
Già dal primo chilometro capiamo che i chili che abbiamo sulle spalle diverranno mal di culo, di braccia e di schiena ma ne impieghiamo un’ottantina, di chilometri (giusto fino a Sondrio), per capire che forse almeno gli scarponi li potevamo appendere al manubrio. All’iperal poco prima Sondrio, si vedono le solite scene con gente allo sbando seduta per terra che divora pizzette svunce.
Arrivo a Campomoro verso le 15:00 con facce alla Di Luca e biciclette consegnate al primo edificio in cui ci siamo imbattuti: si è rivelato essere un ex ristorante ora adibito a casa vacanze per gruppi di famiglie. Nella tratta fino al rifugio Carate un po’ d’acqua giusto per rinfrescarci le idee e arrivo alla Marinelli con gente che nel tentativo di ordinare una cena si fa domandare se c’è bisogno di un’aspirina.
A tavola si conosce un faraone bergamasco che ci accompagnerà per buona parte del giorno dopo: Ivan. Alla prima domanda se era in giro in solitaria, la risposta è inequivocabile: “Io sempre in solitaria”.
Sabato Sveglia alle 4:10 colazione alle 4.30 e partenza alle 5:00, superato un signore che aveva fatto il Bernina “la prima volta 51 anni fa”, il ghiacciaio e il canalone/ferratina (affrontati un po’ l’uno e un po’ l’altro) sono tutti nostri anche se in quel momento, con sonno misto stanchezza dal giorno prima e “buio sul ghiacciaio” si vorrebbe solo essere altrove, per fortuna c’è davanti Ganjalf a testa bassa a scandire un ritmo regolare altrimenti il ritiro sarebbe stato quasi certo.
Breve pausa alla Marco e Rosa, giusto il tempo di rincontrare Ivan e poi di nuovo su, ora immersi nel sole; l’indecisione se affrontare il crestino finale fino alla cima svizzera dura pochissimi istanti e prima delle 10 siamo in vetta a quota 4.049m s.l.m.
Le note del rientro sono Moretz che, sul tratto un po’ più tecnico, mette una pressione poco dignitosa a un tedesco che stava dando corda al socio a ritmo di bradipo; pause fisiologiche ai rifugi (giunti al Carate con Ivan il rifugista commenta che i matti si ritrovano sempre); Moretz, sempre lui che, affronta l’ultimo tratto di sentiero a piedi nudi per sfinimento da vesciche.
All’inizio della discesa su due ruote abbiamo resistito alla proposta indecente di Ivan ovvero scaricargli lo zaino sul fugone e scendere leggeri, accettare avrebbe voluto dire voltare le spalle alla stella polare che ci ha guidato fino li: un’etica ferrea (forse meglio interpretabile come ignoranza estrema).
Discesa in bici con materiale appeso all’esterno dello zaino stile albero di Natale e foratura per me, che ha causato solo un po’ di perdita di tempo. Arrivo al solito iperal giusto in tempo per la grande abbuffata costituita da cibi ideali per gli 80 km che ci attendono: salatini, pancetta e focacce gusto alici capperi aglio e cipolle. Si passa poi alla fase di fissaggio del peso sulla bici, ognuno con una strategia diversa:
Io (Bona) con calzini, fettucce e magliette infilati negli scarponi, scarponi sul manubrio e imbrago addosso con appesi ramponi, macchina fotografica e moschettoni. Moretz che si limita ad appendere gli scarponi sul manubrio. Ganjalf che con sommo sprezzo del mal di culo si tiene tutto in spalla.
Si ricomincia a pedalare in modo piuttosto surreale: dopo una decina di chilometri sui 35 km/h colleghiamo il cervello e capiamo che non è il caso di andare avanti così, ciò che ne esce è un ritmo barcollante e a stento raggiungiamo Colico accompagnati dal buio e conseguenti strombazzamenti delle auto di passaggio.
Qui la pausa dura una mezz’ora abbondante e ne approfittiamo per chiamare gli altri asini del gruppo (Maxi Piz e Niciz) che ci raggiungeranno in macchina giusto superato il mostro di Piona e ci scorteranno fino a Lecco dandoci le energie morali necessarie per rientrare. A mezzanotte siamo alla Tamoil e le sensazioni sono ormai di inerzia totale, si conclude con una pausa al bar e rientro, chi a Bonacina chi a Germanedo quasi alle 2.
Bona