KATHMANDU, Nepal — Il record del più giovane salitore dell’Everest è sempre stato della sua famiglia e del suo popolo. Lui vuole riportarglielo. Questa la motivazione per cui Pemba Dorje Sherpa ha deciso portare, l’anno prossimo, un bimbo di dieci anni in cima all’Everest, probabilmente suo figlio. E’ deciso a strappare il primato al 13enne americano Jordan Romero, che lo ha agguantato poche settimane fa salendo con l’ossigeno dal versante Nord della montagna.
A casa di Pemba Dorje i record sono all’ordine del giorno. Lui è il più veloce: nel 2004 ha salito il Tetto del mondo in 8 ore e 10 minuti, ovviamente con l’ossigeno. Fino a poche settimane fa, suo nipote Temba Tsheri era il più giovane, avendo salito la montagna a 16 anni. Ma ora, il giovane Romero si è infilato nel palmares sottraendo il primato a quest’ultimo. E così, Pemba Dorje ha deciso di rilanciare: l’anno prossimo porterà un bambino nepalese più piccolo dell’americano sul tetto del mondo.
“Thseri ha detenuto il record per oltre dieci anni e noi ne eravamo molto fieri” – ha detto Pemba all’Afp in questi giorni -. Penso che tutti i record dell’Everest debbano appartenere al popolo nepalese. Per questo anche quello del più giovane deve tornare tra noi. Nel 2011 porterò sulla vetta un bimbo sherpa di 10 o 11 anni”.
Chi sarà? La decisione finale verrà presa tra poco e pare ricadrà proprio sul figlio di Pemba, che compirà 10 anni quest’anno. Secondo quanto riferito dall’Afp, lo sherpa avrebbe trovato alcuni potenziali candidati nei remoti villaggi himalayani, ma lassù non esistono certificati di nascita, indispensabili per provare il record al Guinness dei primati. Così, sta pensando di portare in vetta suo figlio.
Resta il problema legale, visto che il governo nepalese non concede permessi di scalata ai minori di 16 anni. Ma Pemba ha assicurato alla stampa che il Ministero del Turismo nazionale sarà disponibile a fare un’eccezione per un bambino nepalese che salirà per battere un americano.
Inutile dire che stupore e sconcerto si moltiplicano nel mondo dell’alpinismo e non solo. Ci si interroga sulla psicologia, sulla medicina, sulla responsabilità genitoriale. E soprattutto sull’utilità, o meglio la dannosità, di questa dilagante “malattia da primato” che ogni giorno sembra superare i limiti della ragionevolezza. Senza trovare, per ora, nessuna risposta sensata.