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Premi, brindisi e riflessioni: la giornata conclusiva dei Piolets d’Or

Si è conclusa a San Martino di Castrozza la tre giorni che ha assegnato gli “Oscar dell’alpinismo” a uomini e donne di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Slovenia e Russia. Imprese e paure, vette splendide e sconosciute

Nella serata di giovedì 11 dicembre, nel Palazzetto dello Sport di San Martino di Castrozza, sono stati consegnati i Piolets d’Or, i riconoscimenti più ambiti dell’alpinismo. Tre sono andati alle migliori ascensioni dell’anno, uno è stato assegnato alla carriera, altri due sono menzioni speciali. 

Non c’è stata suspense, perché alla tre giorni conclusiva dei Piolets non ci sono le nomination ristrette, le attese e gli annunci “… and the winner is…” degli Oscar. In compenso ci sono stati dei magnifici racconti di avventure in montagna, e si sono vissuti momenti di commozione autentica. 

L’elenco degli alpinisti famosi presenti, dai giurati e dai premiati fino agli ospiti d’onore della serata, può riempire una dispensa di storia dell’alpinismo di oggi e del passato recente. E forse anche del prossimo futuro, vista la giovane età e la qualità delle realizzazioni di alcuni degli alpinisti premiati. 

La giornata è iniziata ufficialmente alle 11, anche se incontri e interviste a quel punto erano già andati avanti per ore negli storici saloni dell’Hotel Regina, quartier generale della seconda edizione trentina dei Piolets d’Or, dove un ritratto di Andreas Hofer e uno di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria-Ungheria, raccontano da che parte della storia abbia battuto a lungo il cuore della gente del Primiero.       

Parliamo di premiati, non di vincitori, qui non c’è nessuna competizione”, ha esordito Christian Trommsdorf, guida alpina, presidente del Groupe de Haute Montagne francese e patron indiscusso dei Piolets d’Or. Delle vie premiate si sapeva già molto, e le domande dei presenti hanno toccato dei temi profondi, come l’importanza dell’intuizione nell’alpinismo e la vera definizione di stile alpino.

Sul primo punto ha detto cose importanti Benjamin Védrines, asso dell’alpinismo francese premiato quest’anno con una Menzione speciale. Tra altre cose, ha raccontato come ha imparato negli anni a fidarsi di sé stesso e a valutare difficoltà e pericoli. “Davanti a una montagna meravigliosa come il K2, però”, ha ammesso, “l’attrazione per un alpinista è talmente forte che rischia di far commettere errori”.

Tra i ben cinque premiati arrivati dal Nord-ovest degli Stati Uniti (Montana, Alaska, Wyoming), le cose più interessanti le ha dette Dane Steadman, premiato con i suoi compagni per la salita dello Yashkuk Sar I, in Pakistan. “L’Alpine climbing, l’alpinismo classico, mi fa abbastanza paura. L’intuizione mi serve prima o dopo una scalata. In parete cerco di usare la razionalità”. 

Interessante la discussione su come servirsi delle nuove tecnologie, a iniziare da Google Maps o dalle raccolte di foto di Flickr, e di come incrociarle alla lettura di riviste e annuari di alpinismo (l’Alpine Journal inglese e l’American Alpine Journal sono stati citati molte volte) per individuare nuove mete interessanti. 

Nella discussione su cosa sia davvero lo stile alpino, dopo un bell’intervento di Angela Benavides, giornalista madrilena e firma del sito ExplorersWeb.com, si è fatta notare la saggezza dell’asso sloveno Aleš Česen, premiato per la sua via nuova sul Gasherbrum III, 7952 metri, insieme al britannico Tom Livingstone. 

Sulle Alpi è impossibile essere puri al 100% , se non altro perché esiste il Soccorso”, ha spiegato Česen. Alexander Odintsov, russo, premiato con il Piolet d’Or alla carriera, ha sorpreso tutti parlando dell’importanza delle buone letture nella preparazione degli alpinisti, e citando Rimbaud, Baudelaire e Puskin. 

Gli emozionanti racconti dei premiati

Nel pomeriggio, al Palazzetto dello Sport, i premiati hanno raccontato in dettaglio le loro imprese. Commoventi i toni delle giovani slovene Anja Petek e Patricija Verdev, autrici della prima salita del Lalung I, 6243 metri, nello Zangskar indiano. Le due, componenti di una spedizione tutta femminile, hanno raccontato in un inglese stentato ma coinvolgendo il pubblico, i timori che le hanno tenute bloccate per 48 ore su un’interminabile cresta (in tutto ci hanno messo 6 giorni), e il terrore quando due orsi, di notte, hanno devastato il campo-base alla ricerca di cibo.   

Bello, preciso e un po’ meno emozionante degli altri il racconto di Spencer Gray e Ryan Griffiths, premiati per la loro spettacolare via nuova sul Kaqur Kangri, nel remoto Nepal occidentale, “così diverso da Kathmandu da sembrare un altro paese” ha detto Spencer. 

Fantastico invece il racconto di August Franzen, Dane Steadman e Cody Winckle della loro impresa in Pakistan, dove il primo, che vive in Alaska e non era mai uscito dagli USA, ha conosciuto di persona gli altri due solo all’aeroporto di Doha, in Qatar, prima di imbarcarsi per Islamabad.
Se il racconto dell’ascensione ha avuto toni pacati, foto e video della salita hanno mostrato scivoli di ghiaccio e misto ripidissimi, creste più che affilate, una impressionante valanga che ha spazzato il canalone che i tre avrebbero dovuto traversare l’indomani. Belle, anche qui, le riflessioni di Steadman sulla “cordialità e la bellezza che abbiamo incontrato in Pakistan, un Paese di cui tutti a casa nostra hanno paura”. 

Un gradino sopra agli altri, per le difficoltà e la quota dell’impresa, il racconto di Aleš Česen, della via aperta insieme a Livingstone sul Gasherbrum IIl, tentata nel 2022 e completata nel 2024. Nel tratto finale, il tracciato ha regalato ai due alpinisti tratti di misto di alta difficoltà improteggibili, e un bivacco nella tormenta, seduti su una cengia, un centinaio di metri sotto la cima. 

Tanti ospiti speciali alla premiazione

La premiazione, condotta da Christian Trommsdorf e Luca Calvi, ha avuto momenti commoventi e altri di grande fascino, e ha visto sfilare grandi alpinisti arrivati da poco a San Martino come la tedesca Ines Papert, l’americano Steve House, i britannici Masha Gordon, Lindsay Griffin e Victor Saunders e lo sloveno Silvo Karo. 

Nel pubblico, oltre alle guide alpine (le Aquile) di San Martino, in divisa storica, c’erano alpinisti, rappresentanti delle guide di altre valli e del Soccorso e un maglione rosso degli Scoiattoli di Cortina.  

Dopo i saluti di Daniele Depaoli, sindaco di Primiero, di Antonio Stompanato direttore dell’APT di San Martino e di Mara Nemela direttrice della Fondazione Dolomiti UNESCO (bella la sua osservazione sul rapporto tra l’alpinismo e la cultura di montagna), le presentazioni dei premiati hanno in buona parte ricalcato quelle già ascoltate il pomeriggio.

Importanti, alla fine, le parole del russo Alexander Odintsov, insignito del Piolet d’Or alla carriera, che ha faticato a ottenere un visto per entrare in Italia a causa dell’attacco del suo Paese all’Ucraina e delle relative sanzioni. “Quando c’era la Cortina di Ferro, per noi alpinisti sovietici, dall’altra parte c’erano dei fenomeni come Messner e Bonatti” ha spiegato “Sasha” Odintsov. “Poi è caduta, e abbiamo trovato degli uomini con cui siamo diventati amici”. 

Per qualcuno il nostro invito a un alpinista russo è stato uno choc, e per questo siamo stati criticati duramente. Per noi invece avere qui Sasha è un grande onore. L’alpinismo può unire al di là dei confini, nonostante gli odi e le guerre che dividono il mondo” , ha detto Christian Trommsdorf. Una bella conclusione, per una bellissima edizione dei Piolets d’Or. All’anno prossimo!   

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