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L’orso e il turismo in Trentino: i dati contro le paure

I numeri in continua crescita delle presenze turistiche smentiscono chi afferma che l’orso tiene lontani i visitatori. La convivenza responsabile è possibile

Da anni, in Trentino, l’orso è diventato un simbolo controverso. Per alcuni un’icona di natura autentica, per altri un fattore di rischio, persino un presunto colpevole della crisi del turismo. Ma la crisi, semplicemente, non c’è. I dati parlano chiaro: nel 2025 il comparto turistico trentino ha registrato numeri record, con arrivi e presenze in crescita rispetto agli anni precedenti. Eppure, il dibattito continua a oscillare tra slogan e paure. Proviamo a riportare la discussione su basi scientifiche e documentate.

Il mito del “paesaggio della paura”

Il concetto di “paesaggio della paura” nasce in ecologia per descrivere come le prede modulano l’uso dello spazio in funzione del rischio di predazione ma viene ripreso in ambito sociale e politico per descrivere la percezione diffusa di insicurezza dopo eventi come l’11 settembre e, in Trentino, dopo la prima aggressione mortale da parte di un plantigrado, nel 2023. Applicarlo all’orso però è una forzatura. Perché non esistono indicatori che mostrino un legame tra la presenza del plantigrado e un calo dei flussi turistici. Al contrario, un’indagine Doxa del 2025 rivela che il 67% degli italiani è indifferente alla presenza dell’orso quando sceglie una vacanza in Trentino, mentre il 20% dichiara che la sua presenza aumenta l’interesse. Solo il 13% la percepisce come un deterrente.
Numeri che confermano una tendenza già emersa vent’anni fa: la maggioranza dei turisti non considera l’orso un ostacolo, e una parte significativa lo percepisce come valore aggiunto.

L’orso non è in catalogo

Un altro mito da sfatare è quello dell’orso “reintrodotto per scopi turistici”. Lo studio di fattibilità del progetto Life Ursus dedicava al turismo appena poche righe, sottolineando che l’impatto sarebbe stato minimo. E infatti, nelle campagne di marketing del Trentino, l’orso non è mai stato utilizzato come immagine di richiamo. Non è in catalogo, non è un gadget da vendere.
Allo stesso modo, non è il responsabile di presunti cali dell’accoglienza. Le analisi condotte sulle APT di Campiglio e Val di Sole mostrano che, dopo la tragedia di Caldes del 2023, i flussi hanno registrato oscillazioni legate a fattori ben più ampi – meteo, inflazione, dinamiche macroeconomiche – per poi tornare a crescere fino a superare i livelli pre-crisi nel 2025.

Montagna autentica, non addomesticata

Il vero nodo non è se l’orso faccia bene o male al turismo, ma come raccontiamo la sua presenza. La montagna non è un parco giochi addomesticato: è un ambiente vivo, complesso, dove la convivenza con i grandi carnivori richiede consapevolezza e responsabilità. I cartelli gialli all’inizio dei sentieri non sono un deterrente, ma strumenti di informazione. Un decalogo di comportamenti corretti che rende gli escursionisti più consapevoli e, in definitiva, più liberi.

Perché la vera attrattiva della montagna non è la sua sterilizzazione, ma la sua autenticità. L’orso, come il lupo, ci ricorda che la natura non è sotto controllo, che esiste un’alterità da rispettare. È questo che rende l’esperienza in quota significativa e memorabile.

Paesaggio di consapevolezza

Il turismo trentino non è in crisi, e l’orso non è il suo nemico. Al contrario, la sua presenza può diventare un’occasione per ripensare il rapporto tra uomini e natura, per costruire un paesaggio di consapevolezza invece che di paura.
Questo articolo prende spunto dall’ultima edizione de I Nuovi Fogli dell’Orso, la rivista del Parco Naturale Adamello Brenta dedicata alla coesistenza tra uomini e grandi carnivori.

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