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Chiacchiere e sceriffi. Serve davvero questo alla montagna?

La notizia che la nuova legge di bilancio prevede sanzioni economiche per chi chiede soccorso dopo essere finito nei guai (per dolo o colpa grave), ha scatenato reazioni scomposte. Troppo

Chiacchiere, distintivi, sceriffi, bastoni, manganelli, punizioni esemplari. Ormai i provvedimenti punitivi piacciono, fanno gongolare.
“Era ora! Che paghino! Finalmente! Basta sottrarre risorse là dove servono. Così la prossima volta ci pensano due volte prima di mettersi nei guai…”

Basta scorrere i commenti ai recenti provvedimenti inseriti nella manovra finanziaria per accorgersi che l’introduzione del pagamento per certi interventi di soccorso è accolta con una soddisfazione quasi liberatoria.
E questo, detto tra noi, è un segnale inquietante.

Ancora più inquietante se pensiamo che l’eccitazione da “tirata d’orecchie” o “calcio nel sedere” arriva in larga parte da chi la montagna la pratica.
Da chi sa, o dovrebbe sapere, che nessuno è davvero esente dal fare idiozie e mettersi nei guai.
Anche i più preparati, gli esperti, i professionisti: tutti, prima o poi, possiamo sbagliare.
Un passo falso dopo una condotta esemplare, un attimo di distrazione dopo ore di lucidità.
Stabilire quali siano i casi di demenziale e conclamata imprudenza (dolo o colpa grave, recita la legge) è una china scivolosa, quasi impossibile da vagliare nel dettaglio.
E quanti sarebbero, davvero, questi casi in rapporto al numero totale degli interventi di soccorso sanitario, in montagna e altrove?
Sembra più una questione di pancia che di proporzione.

La tentazione di dare in pasto alla tagliola chi “se l’è cercata” è forte. Solletica il grugnito del bar, il pugno sul tavolo, la soddisfazione del “così imparano”.
Ma attenzione, il rischio è quello di scivolare su una cresta sottile e poco solida, dove ogni passo può trasformarsi in giudizio morale.

Perché se cominciamo a distinguere chi “merita” o no il soccorso gratuito, dove ci fermiamo? Chi mangia troppo, chi beve, chi guida stanco, chi non dorme abbastanza, chi fuma, chi adotta stili di vita discutibili… tutti, in fondo, pratichiamo comportamenti incongrui nei confronti della nostra salute. Eppure nessuno penserebbe di negare cure a un infartuato perché “ha esagerato con i salumi”.

Scivolare verso questa barbarie – la montagna come campo di punizione morale – è un passo breve.
Più utile, più umano, più intelligente sarebbe spostare l’energia e i proclami punitivi verso la creazione di percorsi di conoscenza, consapevolezza, grazia, leggerezza.
Verso una cultura del soccorso, della prevenzione, della cura reciproca, dentro e fuori i sentieri.

Non servono sceriffi. Servono maestri, compagni, testimoni.
Servono luoghi e parole che aiutino a capire, non a condannare.

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