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Marianne Fatton: dal burnout alle Olimpiadi

Dopo un periodo difficile la campionessa francese del team Millet è tornata in pista con un obiettivo ben preciso: le gare di skialp delle prossime Olimpiadi

«A volte bisogna fermarsi per poter tornare a correre». Campionessa del mondo di scialpinismo nel 2021, poi il buio: stanchezza, pressioni, un burnout che l’ha costretta a fermarsi. Oggi Marianna Fatton, atleta del Team Millet, è tornata in forma, più forte e più consapevole, con un obiettivo chiaro davanti: i Giochi Olimpici di Milano-Cortina 2026.

Marianne, hai avuto una carriera rapidissima. Poi, dopo il titolo mondiale del 2021, qualcosa si è incrinato. Cosa è successo?
Sì, fino al 2021 avevo vissuto una crescita costante, e quello è stato il mio anno migliore: ho vinto la Coppa del Mondo e il titolo iridato nello sprint. Ma poi è arrivato il Covid, con tutta l’incertezza che ha portato. Avevo finito gli studi in comunicazione e cercavo un lavoro: mi sembrava giusto pensare anche al futuro, a una stabilità. Così mi sono iscritta alla scuola di pedagogia per diventare insegnante. Ma tra lezioni, stage e studio, allenarsi era impossibile. Mi sentivo svuotata, e alla fine ho ceduto. 

Ti hanno diagnosticato un vero e proprio burnout, giusto?
Sì, ero arrivata al limite. Sempre stanca, spesso malata, e con la sensazione di non riuscire più a recuperare. Mi hanno detto che avevo i sintomi del burnout, anche a livello nervoso. È stato come se il corpo mi avesse costretto a fermarmi prima che lo facesse la testa.

Com’è stato quel periodo lontano dalle gare?
Difficile, ma salutare. Non gareggiavo più, finivo la prima parte degli studi, ma sentivo che lo sport mi mancava troppo. Durante quella pausa ho capito che poter fare questo lavoro è una fortuna, e che correre non è solo vincere. Quando poi lo scialpinismo è diventato olimpico, ho sentito che volevo tornare, ma in modo diverso: con più equilibrio e più attenzione a me stessa.

Cosa hai cambiato nel tuo modo di allenarti e vivere lo sport?
Tutto. Ho costruito una squadra intorno a me: un allenatore, un preparatore fisico, e lo stesso staff medico che mi aveva aiutata durante la crisi. Ho deciso di concentrarmi sullo sport e non più su troppe cose insieme. È impressionante quanto si perda in un solo anno, ma anche quanto si possa imparare da una pausa.

Hai parlato spesso del tuo rapporto con il corpo e con l’alimentazione. Com’era e com’è cambiato?
All’inizio non avevo molta consapevolezza. Vedevo atlete magrissime e pensavo che per andare forte bisognasse essere così. Finisci per mangiare troppo poco, ogni anno un po’ meno, fino a indebolirti del tutto. Durante la pausa ho ricominciato a mangiare normalmente, ho ripreso peso, e mi sono accorta che il corpo ne aveva bisogno. Oggi mangio molto di più, mi sento più forte e più lucida. Ho capito che il cibo è carburante, non un nemico.

Pensi che nel mondo dello scialpinismo ci sia più sensibilità su questo tema oggi?
Sì, molto di più. Quando ho iniziato c’era quasi una gara a chi mangiava di meno, oggi le nuove generazioni sono più consapevoli. Si va a mangiare insieme, si ride, non c’è più quella tensione a tavola.  È un cambiamento culturale, e fa bene a tutti.

Nel 2026 lo scialpinismo debutterà alle Olimpiadi con il formato sprint. Cosa ne pensi?
Penso che sia una grande opportunità. È vero che il format sprint non rappresenta tutta l’essenza dello scialpinismo, ma è un punto di partenza. Se funziona a Milano-Cortina, magari in futuro si potranno aggiungere altre discipline, come l’individuale. Per me l’importante è che il nostro sport abbia finalmente visibilità. E poi, anche se è più corto e spettacolare, resta uno sport autentico, duro, di montagna.

Pensi che i Giochi faranno del bene al mondo dello scialpinismo?
Sì, assolutamente. Porteranno più attenzione, più sostegno, e anche più opportunità per gli atleti. Per me è già stato così: grazie al fatto che è diventato olimpico, posso vivere meglio del mio sport. Credo che questo farà crescere tutto il movimento, anche a livello giovanile.

Hai un rapporto molto riflessivo con la fatica. Ti piace spingerti al limite?
Sì, ma con equilibrio. La fatica fa parte del gioco, ma devi imparare ad ascoltarti. C’è una fatica “buona”, quella che ti fa crescere, e una che ti distrugge. Dopo il burnout ero iper-prudente, adesso ho ritrovato fiducia nel mio corpo e so fin dove posso arrivare.

Chiudiamo con il tuo rapporto con Millet.
Mi piace molto lavorare con loro. Non è solo una sponsorizzazione, è un vero rapporto di fiducia. Sono venuti a vedermi ai Mondiali, mi mandano foto, messaggi, c’è un contatto umano. Hanno sviluppato perfino uno zaino da sprint apposta per noi, anche se non ha senso a livello commerciale. Questo dimostra che lo fanno per passione, non solo per business.

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