“Visionario ribelle”, la vita straordinaria di Yvon Chouinard
Arrampicatore, surfista, viaggiatore, imprenditore di successo. L’alpinista americano, classe 1938, ha via via rivoluzionato l’alpinismo, i chiodi da roccia, l’abbigliamento e il modo di fare impresa. Un grande giornalista ci racconta come.
“In ufficio e in officina, decise, ci si doveva divertire. Voleva dipendenti genuinamente sfacciati, autoironici, e se possibile amici tra loro. Non si curava minimamente di come vestivano, nemmeno se si presentavano scalzi. E, soprattutto, dovevano avere la possibilità di dedicarsi alle loro passioni, come il surf. “Ci inventammo semplicemente il nostro modo di fare impresa” spiega Chouinard. Era un po’ insolito ma funzionò”.
Ventura, California, inizio degli anni Settanta. L’America combatte ancora in Vietnam, si appassiona alla musica rock, offre ancora degli ampi spazi a chi si vuol costruire una vita fuori dagli schemi. E’ quel che fa Yvon Chouinard, classe 1938, nato tra le foreste del Maine da una famiglia immigrata dal Québec, il Canada che parla francese.
Cresce nella wilderness dei boschi, si appassiona alla pesca, quando ha otto anni si trasferisce con la famiglia in Arizona, per sfuggire alla pioggia e agli interminabili inverni. Il primo ostacolo davanti al giovanissimo Yvon è la scuola in inglese, una lingua che mastica poco. Poi, man mano che gli anni passano, scopre la roccia e l’oceano, con le sue onde che invitano al surf.
Per gli alpinisti, Yvon Chouinard è uno dei protagonisti della “rivoluzione del granito” che dalla Yosemite Valley si allarga verso la Patagonia e l’Europa. C’è anche lui ad aprire due vie di arrampicata straordinarie come il North America Wall di El Capitan (1964, con Royal Robbins, Chuck Pratt e Tom Frost) e la Californiana (o Americana) al FitzRoy (1968, con Lito Tejada Flores, Richard Dorworth, Doug Tompkins e Chris Jones).
A rendere celebre la seconda nel mondo contribuiscono il film girato da Tejada Flores, che vince la Genziana d’Oro al Trento Film Festival del 1969, e lo striscione che viene aperto sulla cima con la scritta “Viva Los Fun Hogs”, che può essere molto liberamente tradotto “viva chi si diverte come un maiale”.
David Gelles, l’autore di Visionario ribelle (302 pagine, 19,90 euro), appena pubblicato da Limina, un marchio di Salani Editore, non è (o non è soprattutto) un uomo di avventura, ma è una firma importante del giornalismo americano. Lavora da anni al New York Times, e dopo anni a occuparsi di grandi aziende e di Wall Street scrive per il “Climate Team” del quotidiano.
La prima biografia firmata da Gelles è stata dedicata a Jack Welch, uno dei protagonisti del turbocapitalismo americano, un uomo “dedito al profitto a qualunque costo, senza alcun riguardo per i lavoratori, i clienti e la società in generale”. Yvon Chouinard, al quale il reporter newyorkese dedica due anni di lavoro, è un personaggio completamente diverso.
Quando è un giovane e brillante “Dirtbag climber”, un alpinista brutto, sporco e cattivo (dirtbag significa “sacchetto di immondizia”), Chouinard mette a frutto la sua abilità manuale disegnando e forgiando alcuni dei primi chiodi in acciaio, molto più adatti alle fessure di granito della California di quelli in ferro che arrivano dall’Europa. Li vende direttamente agli amici, o ai frequentatori del mitico Camp 4 di Yosemite, poi passa alla vendita per corrispondenza.
All’inizio degli anni Settanta, sull’esempio dell’amico Doug Tompkins (fondatore di Esprit e poi amministratore di The North Face), affianca alla produzione di chiodi e moschettoni quella di abbigliamento tecnico. Inizia importando dall’Europa e dall’Asia, inizia a produrre direttamente, già che c’è diventa il primo a lavorare e commercializzare capi in pile, rivoluzionando l’industria dell’abbigliamento mondiale.
Il FitzRoy sempre nel cuore
La via nuova tracciata nel 1968 sul FitzRoy resta sempre nel cuore di Chouinard. Quando deve scegliere il nome della sua nuova azienda decide subito per Patagonia. Quando bisogna decidere il logo, l’artista californiana Jocelyn Slack sforna un profilo stilizzato di quella cima che viene approvato subito. Fin dall’inizio, ed è un’altra “prima” straordinaria, l’alpinista diventato imprenditore si preoccupa dell’impatto delle sue attività sull’ambiente.
Gelles, nell’introduzione del suo libro, racconta di aver seguito Yvon Chouinard tra montagne innevate nel Montana, uscite con il surf nell’oceano e battute di pesca in Argentina. “Nei giorni trascorsi nella natura con lo staff di Patagonia ho consolidato ulteriormente il mio rapporto con il pianeta”.
Il risultato è un libro godibile e appassionante, molto ben scritto (non si diventa giornalista del New York Times per caso), capace di appassionare i lettori di biografie come gli studiosi più attenti, come spiega l’autore, delle “lande impervie del tardo capitalismo”.
Chi legge e sa di alpinismo può dispiacersi vedendo entrare e uscire rapidamente dal libro, come attraverso delle porte girevoli, personaggi mitici come Royal Robbins, Rick Ridgeway, Tom Frost e Fred Beckey. La stessa sorte, va detto, tocca anche a personaggi come Allen Ginsberg, poeta e profeta della Beat generation, e la cantante rock Janis Joplin.
L’imprenditore attento all’ambiente
Il suo rispetto per Yvon Chouinard, e la sua esperienza in materia di economia, spingono David Gelles ad affrontare fin dall’inizio il tema dell’uscita del protagonista dall’azienda che aveva fondato e condotto per decenni.
“Sulla carta era miliardario, le riviste finanziarie gli attribuivano un patrimonio di 1,2 miliardi di dollari. Una somma surreale, considerando che per cucinare utilizza la stessa padella di ghisa da cinquant’anni, abita in una casa di legno stipata di mobili di seconda mano, e non possiede cellulari o computer”.
“Sotto la sua guida, Patagonia è divenuta una delle aziende più innovative del mondo, ma dopo anni di carriera Yvon ha avvertito il peso di questo successo. Il problema era il denaro. Sulla carta era miliardario: una blasfemia, un affronto al suo stile di vita e alla sua persona. E non si è dato pace finché non è riuscito a rimediare a quell’incredibile svista cosmica”.
Il piano approvato nel 2022, quando Yvon ha 84 anni, “attraverso un sistema di trust e di enti no-profit” impedisce che Patagonia “possa finire in mani sbagliate”. I dettagli sono complicati, e le pagine del libro che le illustrano vanno lette con attenzione.
Il risultato, secondo Chouinard e il suo biografo Gelles, è che “ogni profitto futuro” sarà “destinato alla lotta alla crisi ambientale”. Dietro a un maglione di pile, a una giacca di piumino o a un “guscio” che permette di affrontare le bufere c’è un messaggio più grande.