Trail running

Daniele Nava, l’ultrarunner che si ispira a Walter Bonatti

L’atleta valtellinese ha stupito tutti al Tor des Gèants anche per la sua particolare filosofia di gara. Proviamo a conoscerlo

Che il 2025 fosse per Daniele Nava un grande anno, lo si era capito sin da quella prima vittoria all’Ultra Trail del Lago di Como (250 km, già nel mese di maggio). Ma che potesse essere la sua miglior stagione di sempre, questo forse non se lo aspettava nemmeno lui. Che affronta le gare con impegno q.b. (nelle ricette di cucina, quanto basta) e lo condisce con un pizzico di leggerezza, che dà più sapore. Che vive la montagna con rispetto e le sfide con quella “solida ignoranza” (come dice lui) che nasconde però anche una certa meticolosità. Che quando arriva (e vince!) è quasi incredulo del suo risultato e un po’ commosso ti dice al microfono che non sa come possa essere accaduto. Che ha una filosofia di gara tutta sua e un’etica personale alle quali non è venuto meno neppure al Tor des Géants rifiutando qualsiasi tipo di assistenza alle basi vita. Perché “Non è che gli altri sbaglino a farlo, ma a me piace così, perché lo trovo più vero e autentico. Hai presente la bellezza di portare a termine una gara del genere e sapere di avercela fatta in completa autonomia, senza nessuno che ti seguiva per assisterti nelle basi vita?”. E a questa frase, tutti noi ultratrailer, uomini e donne indistintamente, ci siamo un po’ innamorati di lui.

Valtellinese di Tirano, classe 1987, professione arboricoltore e tree climber, da un paio d’anni o poco più lo troviamo sempre in testa alle classifiche delle varie gare trail a cui prende parte. Primo posto alla Doppia W Ultra 100 nel 2023, un primo e due secondi posti alla Adamello Ultra Trail (nel 2023, 2024 e 2025), un quarto, secondo e infine la vittoria alla VUT 90 km, due vittorie alla UTLAC 250 km.

Specialista delle lunghe (e lunghissime) distanze, è salito lo scorso weekend sul secondo gradino del podio di Adamello Ultra Trail, ad appena una settimana di distanza dal Tor330 chiuso in ottava posizione. Quello che lo rende un po’ speciale, tuttavia, non sono tanto i numeri che, seppur importanti, non lo rendono certo unico. Quello che affascina è piuttosto la filosofia tutta sua con cui affronta le gare, che ha esplicitato molto bene nella gara valdostana. Chiusa, quest’ultima, nella top ten e affrontata senza aver mai provato il tracciato e senza una precisa strategia per quanto riguarda il sonno. Partito con “calma” ha man mano scalato la classifica ritrovandosi, dopo la prima metà di gara addirittura in terza e poi seconda posizione, fino a una crisi data dalla totale mancanza di sonno che lo ha portato a fermarsi, perdere qualche posizione e infine chiudere in ottava. Dopo una settimana era in partenza per i 170 km sui sentieri dell’Adamello.

Partiamo dal TOR330. Ci racconti la tua strategia di gara?

La mia strategia se così si può chiamare, è stata quella di arrivare alla partenza il più tranquillo possibile e scarico di pensieri agonistici: sapevo che soprattutto per la prima metà di gara sarebbe stato importantissimo concentrarmi su me stesso, sul mio passo e sulle mie sensazioni, senza interessarmi degli altri, cercando di spingere il giusto e lasciando libera la mente anche di godersi lo scorrere dei colli e dei km, con l’idea di mettere una marcia in più di notte, che da sempre mi favorisce. Una volta arrivati a Donnas e successivamente a Gressoney allora avrei potuto capire come fossi piazzato sia come tempo, sia come classifica, e se le condizioni fossero state buone avrei potuto pensare un po’ anche alle posizioni e pensare un po’ di più all’agonismo.

Hai detto che almeno otto, dieci persone si erano proposte di farti da assistenti, ma tu non li ha voluti. Perché?
Ho avuto davvero tanti amici che si sono proposti i mesi prima della gara, di venire a seguirmi per assistermi. Con alcuni di essi condivido anche parti della preparazione, mi confronto su vari aspetti e mi conoscono anche davvero bene. Da un lato quindi, sarebbe stato un valore aggiunto e un aiuto davvero determinante durante il TOR. Ma è proprio questa la ragione per cui ho deciso di non avere assistenza: credo che la parte che riguarda la gestione dei ristori, dei cambi vestiario, dei rifornimenti, della gestione delle attrezzature e materiali, sia parte integrante e fondamentale di questa disciplina, soprattutto in gare lunghe come il TOR. Delegare ad altri o farsi aiutare nella mia testa è quasi come barare o comunque toglie parte della soddisfazione e dell’esperienza, che mi piace vivere il più possibile in purezza, affrontando con le mie forze, fisiche e mentali, ogni aspetto di questo “sport”, compresa la gestione dei rifornimenti e delle basi vita.

La mancanza di sonno ti ha a un certo punto “fregato”. Cosa hai imparato e come affronteresti un secondo TOR330?
Sì. Ahimè la terza notte la luce si è spenta per almeno 4-5 ore dove, quasi inconsciamente, mi sono trascinato sui sentieri senza sapere bene dove fossi e cosa stessi facendo. E questa crisi mi è costata purtroppo diverse posizioni. Tuttavia diciamo che è un’esperienza che ho voluto ricercare per buona parte: volevo capire e provare sulla mia pelle il limite che potevo raggiungere in assenza di sonno e come il mio corpo si sarebbe comportato una volta raggiunta questa soglia: sono stato accontentato! Sicuramente è stata la conferma che la gestione del sonno in un TOR è la chiave di volta: chi padroneggia la tecnica di dormire quasi a comando è enormemente avvantaggiato! Penso che spenderò molto tempo il prossimo anno per apprendere al meglio questa arte di riuscire a fermarsi, chiudere gli occhi ed addormentarsi. Non so ancora come, ma ce la farò.

Ci sarà un secondo TOR330?
Sicuramente ci sarà un secondo TOR e, nonostante la mia enorme voglia di correre il Tor des Glaciers, penso che sarà già nel 2026, anche se un anno è lungo e la mente non si sa dove vorrà viaggiare. Lo rifarei sicuramente perché è stata un’ottima esperienza che mi piacerebbe rivivere e perché so che con la giusta preparazione, migliorando diversi aspetti si può sicuramente migliorare il crono finale! Per le posizioni in classifica o addirittura per la vittoria credo sia impossibile sbilanciarsi. Mi spiego: il crono finale può essere un dato oggettivo sul quale con le dovute cautele ci si può sbilanciare La classifica dipende sempre anche da chi ti ritrovi come avversario. In passato il TOR è stato vinto anche con il mio tempo, ma se il livello si alza o se ti ritrovi in gara un fenomeno come Victor Richard, diventa davvero difficile fare pronostici e quindi credo che concentrarsi sul crono sia la cosa più realistica e pragmatica che si possa fare. Poi in gara te la giochi e tutto può diventare possibile.

Non ami provare i percorsi di gara. Giusto o sbagliato, con il senno di poi?
Amo le gare dove tutto è nuovo, perché mi toglie pensieri, preoccupazioni e ansie. Anche se sono convinto che la conoscenza del percorso unita alla capacità mentale di non farsi condizionare da essa sia un’arma in più per fare performance. Ho voluto vivere il mio primo TOR così perché ho preferito sacrificare un pochino di spirito agonistico, a favore di quello esplorativo e godurioso dell’esperienza. Anche se ammetto che a tornare indietro, proverei il segmento Donnas-Gressoney!

Adamello Ultra Trail: 170 km ad appena una settimana di distanza dal TOR. In apparenza una pazzia
È la follia propria delle storie d’amore. Quel che mi lega all’Adamello Ultra Trail, alle sue montagne, ai suoi sentieri e alla sua gente, non lo posso controllare. La cosa più difficile della preparazione al TOR è stata capire come conciliare le due gare. A un certo punto ho preso come dato di fatto la mia partenza da Vezza d’Oglio, mi sono rasserenato e tutto come sempre è venuto da sé. Un bel riposo dopo l’arrivo a Courmayeur, tanto, tantissimo cibo e il week end dopo eccomi lì pieno di energia. La seconda posizione non era in programma e mi ha lasciato sbalordito, ma del resto quando si dice che il cuore e la mente ti portano dove desideri.

Nei post su social a volte troviamo la foto di Walter Bonatti. Ci spieghi questa scelta?
Bonatti è da sempre il mio punto cardinale. Uomo puro e limpido come il cielo terso d’alta quota, forte come il granito, di una dignità sconfinata. Mi ha insegnato e mi insegna quotidianamente il valore e la forza della solitudine, su cui ha fondato le sue più grandi imprese alpinisti che ed esplorative. E ci mostra ancora come l’impossibile spesso è tale solo fino a che, in qualche modo, non lo rendiamo possibile. Per me affidarmi al suo spirito, mentre correvo per i sentieri con vista sul suo Monte Bianco è stata cosa scontata, per questo vedete la sua foto.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close